Maggio e agosto 1943

«Milano stava andando a fuoco. Scampato da quell'inferno, apparve papà». Nel ricordo di due bambini.
Illustrazioni

Ti ricordi, sorellina, com’era facile credere quando andavamo al “mese di maggio”? Era l’unica possibilità di uscire dopo cena, i grandi pensavano che fossimo molto pii e forse, a modo nostro, era vero. Attraversavamo la chiesina con l’impertinente rumore dei nostri zoccoletti fino all’altare della Madonna vestita di bianco e di azzurro, portandole un mazzolino di roselline rosse rubate alle siepi delle villette che si allineavano sullo stradone di ghiaia bianca. Diventava bianchissima la sera per la luna, tra il ronzio dei maggiolini così facili da acchiappare e così bello farseli arrampicare su per il braccio nudo: che solletico! Tanto che se tu, sorella maggiore giudiziosa, non mi avessi detto: «Dai che è tardi!», alla statuina bianca e azzurra non ci sarei arrivato mai e anche così le nunchetinora («adesso e nell’ora…», dall’Ave Maria) ci guardavano con l’occhio severo non so se per il ritardo o per il sospetto che le roselline fossero quelle della loro villetta.

Ti ricordi?

Non sapevamo ancora che lei è così diversa e molto più in grande della biancoazzurra che la raffigurava, perché a noi bastava quel sorriso che ci diceva: «Mi piace il klik klok dei vostri zoccoletti». E per noi Dio aveva la barba e stava seduto sulle nubi e come il nonno – almeno così ci raccontavano – non era quasi mai contento e brontolava, brontolava; ma come il nonno – sapevamo noi – ci voleva bene e guardava giù sui buoni e sui cattivi anche se noi due ci vedeva solo quando eravamo cattivi perché quando eravamo buoni era sempre occupato a guardare altri bambini che stavano facendo i cattivi.

 

Per fortuna ci siamo accorti in tempo che non era proprio così e che tutto questo lo dicevano i grandi nel tentativo di tenerci docili e mansueti; ma con tutto ciò si corse il rischio di non credere più. Però la crisi passò subito perché un nonno seduto sulle nubi fa comodo a tutti e figuriamoci a due fratellini che, in tempo di guerra, papà lo vedevano sì e no una volta alla settimana e non ci voleva niente che i “soldati neri” (le SS) se lo portassero via.

E ti ricordi le notti d’agosto quando il cielo, giù di là verso Milano, diventava tutto rosso perché la città stava andando a fuoco e la mamma stava al parapetto del giardino cercando di sembrare tranquilla, ma le dita intrecciate erano tutte bianche come quando si stringono troppo?

E così tu, che eri più grande e non ti facevi distrarre dai maggiolini, forse capivi. Perché l’orizzonte rosso era bello, ma papà era là in mezzo e prima avevamo sentito il rombo dei quadrimotori che adesso erano su Milano.

Forse ne avrai parlato con la biancazzurra perché per noi era facile credere e forse la mamma ne avrà parlato col nonno delle nubi perché voleva credere.

Ma la sera dopo in fondo al viottolo, tra gli orti pieni di dalie e di iris e di ciliegi già carichi di pallini che presto sarebbero diventate ciliegie vere, tra il profumo del basilico e della terra annaffiata dal signor Giovanni, apparve uno tutto grigio come il vestito stazzonato che indossava. Grigie le scarpe, grigia la borsa, grigia la faccia con righe di pulito dove era sceso il sudore, grigi i capelli e il cappello perché tutto era stato coperto di cenere e di polvere nell’inferno dal quale era scampato e per tutta la strada ferrata dove c’era e dove non c’era («Hanno bombardato il ponte di Sesto!») e sotto il grigio il sorriso smarrito di chi dice: sono vivo! E ancora non ci crede.

 

Apparve. Ed era papà.

E la mamma a corrergli incontro con il vestitino a fiori! E come correva sulle sue scarpe di sughero mentre lui posava la borsa e la prendeva tra le braccia! E facevano un giro su sé stessi, lei con i piedi indietro senza toccar terra; e quando la mise giù cosa si dissero noi non lo abbiamo sentito, ma lo ricordiamo ancora. E mai li vedemmo così teneri e mai li amammo di più senza gelosia perché da lì – come se allora ci fosse svelato – eravamo nati ed avevamo questa vita che era così bella proprio mentre altri nel mondo ce la mettevano tutta per ammazzarsi.

E vennero avanti insieme per il sentiero tra le dalie gli iris i ciliegi e il basilico e quasi facevano luce. Poi, mentre lui si lavava nel catino, ascoltavamo che la casa era ancora su, che i nonni stavano bene, che i pali del rifugio si erano spostati di qua e di là e le imposte erano scese dai cardini e i tizzoni dell’incendio vicino volavano per aria.

E le sere dopo la biancazzurra sorrideva di più e il nonno sulle sue nubi non brontolava perché sennò gli avremmo chiesto delle spiegazioni sulle cose che aveva raccontato papà e sarebbe stata una fatica terribile anche per lui darci delle risposte. Gli zoccoletti erano quasi più impertinenti e anche se le nunchetinora ci guardavano con l’occhio più gallinaceo che mai a noi veniva da ridere perché la biancazzurra era dalla nostra parte. E anche il nonno.

Ti ricordi? Dopo fu tutto più difficile.

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