Mafie, non abbassare la guardia

Il titolo della XXX edizione della Giornata della memoria e dell’impegno, in ricordo delle vittime innocenti di mafia, promosso da Libera e Avviso pubblico il 21 marzo a Trapani è “Il vento della memoria semina giustizia”. Un titolo simbolico, un luogo simbolico, una data simbolica. Migliaia di persone sfileranno mentre sarà letto il lungo elenco di oltre mille nomi di vittime innocenti. Un’iniziativa nata per merito di una donna, come racconta don Luigi Ciotti. «Mi trovavo a una manifestazione per l’anniversario della strage di Capaci. Tutti ricordavano, giustamente, il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e “i ragazzi della scorta”. Io ero vicino a Carmela Montinaro, la mamma di Antonio, il capo scorta di Falcone. Piangeva. Io ogni tanto davo una carezza alle sue mani, non sapevo cosa fare di fronte alla colonna sonora dei suoi singhiozzi. A un certo punto questa donna trova il coraggio con due occhi pieni di lacrime e mi fulmina: “Ma perché non dicono mai il nome di mio figlio?”. Allora ho capito che il primo diritto di ogni persona è di essere chiamato per nome. Lì è nata l’idea di ricordarli tutti, con la stessa intensità, con la stessa forza. Nasce proprio grazie a lei la Giornata della memoria e dell’impegno».
Per 22 anni è stata solo l’iniziativa del volontariato. L’1/3/2017, con voto unanime alla Camera, viene istituito il 21 marzo quale “Giornata
nazionale della Memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime delle mafie”. Scelto perché in quel giorno di risveglio della natura si rinnovi la primavera della verità e della giustizia sociale, perché solo facendo memoria si getta il seme di una nuova speranza. Il 21 marzo 1996 a Roma la prima edizione, alla presenza del presidente della Repubblica Scalfaro. Quest’anno 2025 a Trapani. «C’è una provincia in Italia – scrive Libera – dove da sempre Cosa Nostra ha avuto un ruolo di primo piano, compromettendo la crescita di un territorio e di una comunità. Dove potrebbe anche non essere necessario leggere atti giudiziari, intercettazioni, relazioni della Commissione antimafia, per farsi un’idea di cosa si intende per mafia. Se da sempre Cosa Nostra ha saputo sintetizzare passato e futuro, tradizione e modernità, violenza ancestrale e bestiale, imprenditoria, a Trapani e nella sua provincia questo accade da decenni, praticamente da sempre».
Un “sempre” che parte da lontano, dal bandito Salvatore Giuliano, autore della strage di Portella della Ginestra e ammazzato il 5 luglio 1950 in un cortile di Castelvetrano, non in un conflitto a fuoco ma in una messinscena organizzata dalla mafia e tollerata dalle istituzioni. Uno dei primi esempi dell’intreccio mafia-poteri politici. Castelvetrano il paese/regno di Matteo Messina Denaro, l’ultimo grande latitante e soprattutto espressione di questa mafia trapanese e globale. Un territorio dove è accaduto di tutto, anche se spesso dimenticato. A Trapani cominciano la carriera Giovanni Falcone e Rocco Chinnici, uccisi da Cosa Nostra, anche per aver capito il ruolo di questi territori. E poi gli omicidi del sostituto procuratore Giangiacomo Ciaccio Montalto e del giudice Alberto Giacomelli; l’autobomba di Pizzolungo che doveva uccidere il magistrato Carlo Palermo e che invece fece strage di una mamma e dei suoi gemellini, Barbara Rizzo, Salvatore e Giuseppe Asta. Era il 4 aprile 1985. Il 2 settembre 1988 fu ucciso il giornalista e sociologo Mauro Rostagno, che aveva denunciato l’intreccio mafia-istituzioni-massoneria. Il 23 dicembre 1995 toccò all’agente penitenziario Giuseppe Montalto ucciso per fare un “regalo di Natale” ai mafiosi reclusi. Il 14 settembre 1992 era scampato a un agguato Rino Germanà, il poliziotto più vicino a Paolo Borsellino e a Rosario Livatino. A sparargli tre mafiosi del calibro di Matteo Messina Denaro, Leoluca Bagarella e Giuseppe Graviano, a conferma che il Trapanese non era la “periferia dell’impero”, ma il cuore. Mafioso e non solo. Ad Alcamo viene così trovata una raffineria di eroina, la più grande d’Europa. Si scopre anche il misterioso centro “Scorpione”, sede siciliana di Gladio, guidata dal non meno misterioso Vincenzo Li Causi, attivato durante il rapimento Moro, morto infine il 12 novembre 1993, in un agguato mai chiarito, in Somalia, dove aveva conosciuto Ilaria Alpi.
Una mafia che uccide, dunque, quella trapanese, ma che preferisce «operare nell’ombra – ha scritto la Commissione parlamentare antimafia –, privilegiando il consenso della gente e l’appoggio dei ceti più abbienti con i quali sono state strette nel tempo profonde alleanze». Come con la famiglia Antonio D’Alì, datore di lavoro dei Messina Denaro, padre e figlio, Francesco e Matteo, che facevano i campieri nei suoi latifondi di Castelvetrano. Diventando senatore prima e poi sottosegretario al ministero dell’Interno, così potente da riuscire ad allontanare da Trapani prefetti e investigatori poco graditi, come infine accertato da una condanna definitiva per mafia. Intrecci usciti allo scoperto, per il gran pubblico, dopo l’arresto di Messina Denaro, ma ben noti da tempo.
Una mafia che anticipa i grandi affari. Così Messina Denaro investe nei primi grandi centri commerciali, poi scopre l’energia eolica e negli ultimi anni si inserisce nel mercato delle scommesse on line. Una mafia ricchissima in un territorio agli ultimi posti delle classifiche nazionali relativamente alla qualità dei servizi e per i suoi livelli di povertà.
Ma il territorio di Trapani è anche altro. È la storia di Libera, qui nata grazie a Margherita Asta, figlia di Barbara e sorella di Salvatore e Giuseppe. Che ha scelto di essere testimone di memoria. «Grazie all’impegno sono riuscita a superare il dolore e non mi sento più sola, ma parte di una grande famiglia. La forza me la danno mamma e i miei fratellini. Quando racconto la loro storia e quella di tante altre vittime della mafia, li faccio rivivere. E questo mi dà tanta forza». È la storia di prefetti, come Fulvio Sodano, protagonista nel riuso dei beni confiscati alla mafia e anche per questo fatto trasferire da Antonio D’Alì. In particolare non veniva tollerato il suo sostegno all’azienda confiscata Calcestruzzi Ericina che invece doveva fallire per tornare in mano ai mafiosi. Ma grazie a un bravo amministratore giudiziario e ai dipendenti è, invece, nata una cooperativa che ha aggiunto alla sua denominazione la parola “Libera”. Una produzione di qualità, compatibile col rispetto dell’ambiente, a testimoniare che, quando si vuole, il riuso dei beni confiscati può diventare pratica giornaliera. Come recita la grande scritta all’ingresso dell’impianto: “Insieme si può”.
Lo pensava anche Rita Atria, che a soli 17 anni scelse di ribellarsi al contesto mafioso in cui era cresciuta diventando testimone di giustizia, la “picciridda”, come la chiamava Paolo Borsellino al quale si era affidata. «Bisogna rendere coscienti i ragazzi che vivono nella mafia che al di fuori c’è un altro mondo – scriveva la ragazzina di Partanna –, fatto di cose semplici ma belle, di purezza, un mondo dove sei trattato per ciò che sei, non perché sei figlio di quello o perché hai pagato per farti fare quel favore. Forse un mondo onesto non esisterà mai, ma chi ci impedisce di sognare? Se ognuno di noi prova a cambiare, forse ce la faremo».
Ma la strage di via D’Amelio la getta nella disperazione: «La morte di Borsellino è un vuoto che ha risucchiato la sua fragile vita – ricorda don Luigi Ciotti –. Lei il 26 luglio si è affacciata sul balcone e si è lasciata morire. Ma io sono convinto che durante quel volo Dio l’ha abbracciata stretta e forte. Per noi vive, perché la sua vita spezzata ha generato tanti frutti». Come la cooperativa che porta il suo nome e che dal 2014 coltiva terreni confiscati alla mafia nei Comuni di Castelvetrano, Paceco, Partanna e Salemi. Un’economia pulita e libera, una narrazione differente di questi luoghi. Un motivo in più per essere in tanti a Trapani per ricordare tutti questi nomi e anche i 30 anni di Libera, nata nel 1995 come risposta alle stragi del 1992 e del 1993. Trapani, città del vento, accoglierà decine di migliaia di persone, in testa come sempre i familiari delle vittime innocenti di tutte le mafie sono il vento della memoria che crede in un buon vento che possa seminare giustizia.