Maestra, ti voglio bene

Dal campo rom di via Rubattino a Milano, un'esperienza di mobilitazione popolare e integrazione solidale. Ora raccontata in un libro
I rom di via rubattino

Sono trascorsi due anni da quando avvenne lo sgombero della baraccopoli rom di via Rubattino, alla periferia di Milano. Allora la polizia allontanò più di trecento rom: tra questi c’erano molti bambini che frequentavano la scuola dell’obbligo nel quartiere. Un’operazione che suscitò una forte reazione, per lo più inaspettata, da parte di cittadini e maestre: si mobilitarono per aprire la porta delle loro case e dare ospitalità alle famiglie rom, che non avrebbero avuto alternative reali alla strada. Ora da quella esperienza è nato il libro I Rom di via Rubattino. Una scuola di solidarietà, edito dalle Paoline e presentato in occasione della Giornata dei diritti dell’infanzia.

 

Il libro è un gioiellino per la semplicità e la freschezza del racconto, che narra «la straordinaria avventura di incontro, solidarietà e amicizia tra un quartiere di Milano e i rom, iniziata con l’iscrizione a scuola di 36 bambini da parte della Comunità di Sant’Egidio. La scuola si è rivelata così il primo luogo di un’integrazione non facile, ma possibile». Il libro è stato curato da Elisa Giunipero, per la Comunità di Sant’Egidio, e Flaviana Robbiati, che da 35 anni è maestra elementare nella scuola vicina a via Rubattino. Lei descrive questa esperienza come quella «di una città diversa, dove persone che non erano interessate a conoscere il credo o l’appartenenza politica degli altri si sono ritrovate unite dall’impossibilità di essere complici di ingiustizie gravissime con il loro silenzio. Persone che, davanti alla domanda “a chi tocca?”, senza alcuna reticenza, hanno risposto: a noi». Da questa decisione, da queste persone è nata l’esperienza del campo rom Rubattino. Un modo di affrontare un brutto nodo di questa città e cercare di risolverlo a vari livelli: da quello politico a quello dell’assistenza nell’emergenza, dal lavoro culturale alla costruzione di relazioni che accorciassero distanze non giustificate.

 

Ora l’esperienza fatta a Rubattino non è solo un modello di integrazione possibile, è molto di più: diventa – secondo la Robbiati – «un esempio di riappropriazione dell’essere cittadini e di conquista della consapevolezza della responsabilità che ciascuno ha, che se la voglia assumere o meno». La reazione di Milano alle ingiustizie sui rom ha messo in luce un fatto importante: «I milanesi sono stanchi di competizione, di aggressività, di sopraffazione, di parole gridate, di toni violenti, e hanno un grande desiderio di tornare a guardarsi reciprocamente da persone e non da rivali. C’è desiderio di rispetto dato e ricevuto, di cooperazione e solidarietà, di gentilezza e pacatezza, di partecipazione, c’è voglia di costruire insieme, non di demonizzare qualcuno caricandolo della responsabilità di tutti i mali della città. Su queste cose la Chiesa e Milano si sono trovate unite, perché l’etica laica non è così lontana dall’etica di chi crede, soprattutto in una città che ha sempre guardato poco alle etichette e più alla concretezza del ben operare. Se l’amministrazione comunale saprà valorizzare questo, Milano potrà essere fucina di idee e civiltà».

 

Il libro racconta una storia nata e sviluppata intorno alla scuola. Senza cultura non si può essere cittadini, non si conoscono diritti e doveri, si è tagliati fuori da una vita anche solo minimamente normale. Il futuro parte dalla scuola, e questo l’hanno capito benissimo anche i genitori rom. Anche se, conclude la Robbiati, «siamo ancora molto, molto lontani dalla difesa del diritto alla scuola per questi bambini. Noi ci siamo opposti a questo silenzio e continueremo a farlo».

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