Maestra e scolaretta
Sto scrivendo di lei e dovrò presentarle l’articolo già concluso, stringendomi nelle spalle e disponendomi ad un amorevole rimprovero che, da brava maestrina degli anni d’anteguerra, mi farà levando in alto l’indice: “Ma cosa ti è venuto in mente? Non potevi scrivere di qualcun altro?”. Ma so che alla fine tutto si risolverà in un abbraccio. È fatta così Ada Jacopozzi, 97 anni, un fisico ormai minato dagli anni e da un progressivo indebolimento, più che ovvio. Ogni giorno che passa appare sempre più piccola e fragile, quasi trasparente, ma con una tempra che dire “di ferro” è poco. Si sa, a volte la memoria le gioca degli scherzi; ma poi si riprende con un sorriso che ben conosciamo e con un nuovo interessamento premuroso per chi le sta vicino. Le rimane, come chiodo fisso, quello che è stato il “la” della sua vita negli ultimi cinquant’anni: l’amore scambievole, “perché questa è la legge di Loppiano “, ripete spesso con convinzione. Ada è un capolavoro. Maestra elementare di professione e di vocazione, ha insegnato italiano per quasi un quarto di secolo nel college della Mariapoli permanente. Ha perfino scritto un libro, un piccolo capolavoro, per l’apprendimento della lingua. “Ada, raccontaci”. “Nel ’53 abitavo nella mia Parma, felicemente sposata e con un figlio già grande. Allora insegnavo ancora, con entusiasmo, alle elementari: una vera vocazione la mia. Economicamente stavamo bene, non mi mancava nulla. La famiglia era unita, e io potevo ritenermi una persona veramente fortu- nata. Ero anche credente e praticante, ma un sottile e costante senso di insoddisfazione minava la mia pace: mi sentivo mediocre. E risuonavano forti in me le parole dell’Apocalisse: “Poiché non sei né caldo né freddo ti vomiterò dalla mia bocca”. Un bel giorno sono stata invitata ad ascoltare una ragazza dal linguaggio insolito: era una delle prime compagne di Chiara Lubich. Mi ha affascinato quel che raccontava, e ho capito subito che dovevo cambiare – diciamo pure convertire -, a una vita più radicale. Dio voleva essere messo al primo posto nella mia esistenza, senza più temporeggiamenti. “Ho cercato di farlo – prosegue Ada -, e pochi anni dopo, sette esattamente, non mi è mancata una dolorosa e imprevista occasione per mettere in atto questa decisione: mio marito morì. Mio figlio si era appena sposato, e così mi ritrovai sola. La desolazione, lo strazio sono stati immensi: chi ha provato può capire. Ma si sono rivelati nello stesso tempo la breccia attraverso la quale Dio si è fatto la strada per chiedermi tutto” Ha incominciato a bussare alla mia anima, a bussare sempre più forte, dicendomi in mille modi: “Vieni e seguimi”. Possibile? Proprio a me lo chiedeva? Mi sembrava troppo, ma ad un certo punto ho deciso di giocare il tutto per tutto, e di uscire per sempre da quel velo di mediocrità che a volte ancora mi avvolgeva, buttandomi a capofitto nell’avventura nuova – anche se non priva di suspense, per me non più giovane – della totale consacrazione a Dio. Poco tempo dopo varcavo la soglia di un focolare. “Ho vissuto per qualche anno a Roma – è sempre Ada -, spesso accanto ad alcune tra le prime compagne di Chiara, coloro che avevano cominciato l’avventura dell’unità a Trento: altro che maestra, mi sentivo l’ultima scolaretta!”. L’esperienza e la novità Riprende il suo racconto, AdaJacopozzi, interrogandosi sulla novità di quella vita di comunità iniziata insolitamente quando già era avanti negli anni: “Facile? No, non è stato facile. Ma bello, bellissimo, sempre nuovo: una palestra dell’eterno ricominciare. È vero che avevo alle spalle un’esperienza familiare positiva e oltre trent’anni di insegnamento con dei contatti personali, ambientali e sociali molto ricchi e diversi; ma è altrettanto vero che questa nuova situazione mi permetteva di uscire dal mio io e allargava la mia anima ad una dimensione cristiana fino ad allora quasi sconosciuta. Ho imparato ad agire non per la soddisfazione del riuscire nella vita, dei buoni risultati, ma per amore del fratello o, se vuoi, di Gesù in lui. “Non mi sono mancate logiche difficoltà d’inserimento nella comunità perché l’amore reciproco richiede spesso la morte del proprio io; ma il frutto che ne deriva è una gioia ancora più vitale. È la gioia che dà il “dove due o più sono uniti nel mio nome, Io sono in mezzo a loro”, la presenza di Gesù insomma”. Poi Loppiano, la città dei giovani, per lei anziana. Per anni ha insegnato l’italiano alle ragazze che venivano dai quattro angoli del mondo. Ada se la ride: “Quando pochi giorni fa ho chiesto a due ragazze cosa pensassero della vecchierella che io sono, sono scoppiate in una risata e con un italiano che evidenziava la necessità di qualche lezione in più, mi hanno fatto: “Ma noi non abbiamo mai sentita te anziana, sei una di noi. L’anima non ha età”. Ormai sono qui da tanti anni: è un dono che Dio ha voluto farmi nel terzo stadio della mia vita. Qui sono presenti persone provenienti da tutto il mondo, e tu devi perciò convivere con loro, imparare a conoscere usi e costumi diversi, a valutare cose per te nuove. Ma soprattutto avverti che il tuo animo si allarga sulla dimensione dell’umanità che vieni a conoscere per contatto diretto, da vicino e nel quotidiano, non tanto per qualche stucchevole vacanza in luoghi esotici. Ho nel cuore una riconoscenza infinita per Dio che mi ha regalato questa opportunità”. La cameretta Non molto tempo fa, Chiara Lubich stessa, di passaggio a Loppiano, si è recata da Ada per farle visita nella sua cameretta, dalla quale ormai è raro che esca. L’ospite le ha sussurrato all’orecchio: “Rimani sempre così, Ada, con questo sorriso che testimonia la presenza di Dio nella tua anima”. I flash sono scattati, ma Ada non se ne è quasi accorta: era troppo felice. Nel giorno del suo novantasettesimo compleanno, ha ricevuto in regalo un grande mazzo di fiori arricchito di una scritta: “Grazie, Ada, per la tua presenza che continua ad essere per noi un prezioso regalo”.