«Maestra, distenditi!»
«Dai, ridiamoci sopra!». Quante volte un amico ci ha consolati così. Di questi tempi, penso, il sorriso ci esce più stentato. «È proprio quando le cose sono importanti che vanno affrontate con il sorriso sulle labbra», leggo nelle prime pagine di Giocate! di Franco Bolelli (Add Editore), un libretto intrigante, per nulla innocuo, consigliato a genitori e non solo. Un appello a giocare, tanto scanzonato, quanto serio. Spiega subito che non si tratta di affrontare la vita come un gioco: senza volontà e carattere non si va da nessuna parte. Chi affronta però la vita solo aggrottando le ciglia non fa un torto al gioco: fa un torto alle cose serie. Perché così si trasformano sciaguratamente i valori in dogmi, le responsabilità in doveri sacrificali. Sotto pressione si vede e si misura davvero chi si è: perché non cercare di essere più calorosi, disponibili, simpatici ed autoironici quando è ora di rimboccarsi le maniche?
Un vincente, Pep Guardiola, allenatore del Barcellona, si è ritirato, rinunciando a 10 milioni di euro l'anno di stipendio, «per concedere tempo e risorse ad altre cose importanti nella vita». Soldi e fama non gli bastano. Non so di cosa vivesse Nietzsche, ma affermava: «E falsa sia per noi ogni verità che non sia accompagnata da una risata!».
Avete mai visto un rugbista togliersi la maglietta dopo una meta? Nel rugby la regola d'oro, di chiara matrice anglosassone, è l'understatement, minimizzare sempre tutto, evitare l'enfasi: prima di tutto con sé stessi. Così si giustifica che 30 omaccioni si sfidino all'ultimo sangue solo per portare un pallone ovale aldilà di una riga: come potrebbero prendersi sul serio?
Essere “leggeri”, accettare di essere presi in giro dai compagni e prendere in giro sé stessi è il modo migliore per ricordarsi che ci sono cose molto più importanti del correre dietro ad un pallone o del fare carriera a tutti i costi. Ed è il modo migliore per cogliere l'importanza e la bellezza del giocare, nello sport come nella vita. Giocare non come passatempo che si fa nella stanza apposita e in un orario definito, ma come attitudine verso la vita intera. Giocare ha a che fare con il ri-crearsi, un'attività che è utilissima perché è inutile e il cui valore risiede proprio nella sua gratuità. Non si vive solo di lavoro e di affetti: possediamo l'istinto a scoprire, sperimentare, esplorare, col corpo e col pensiero. E il gioco serve a questo: giocando ci ricordiamo che possiamo superare i limiti, giocando ci alleniamo a trascendere la nostra natura, il nostro istinto egoistico e ci ri-creiamo, appunto. «La vita è molto più che un gioco – scrivono i fratelli Bergamasco nel loro gustosissimo libro Andare avanti guardando indietro (Ponte alle Grazie), sulla filosofia del rugby – e giocare è un bel modo, divertente ed appassionante, per imparare a viverla sul serio».
La maestra di mio figlio Francesco, a fine anno scolastico, cominciava a fare fatica a mantenere l'ordine. Un giorno lui si portò a scuola due mollette. Quando la maestra perse le staffe, le estrasse ed esclamò: «Maestra, distenditi!».