Made in the World. Alle radici dell’esperienza sindacale

Un percorso di riflessione al tempo della “globalizzazione dell’indifferenza” per ritrovare la strada dell’impegno autentico e dare voce agli esclusi. Intervista a Stefano Biondi sull’incontro “Liberiamo il lavoro” in programma dal 16 al 18 ottobre al centro internazionale Mariapoli di Castel Gandolfo (Roma)
sciopero

Dal 16 al 18 ottobre si svolgerà a Castel Gandolfo(Roma), presso il Centro internazionale Mariapoli, il convegno “Liberiamo il lavoro. Alle radici dell’esperienza sindacale”. L’ incontro è promosso da un gruppo di sindacalisti di diversa appartenenza e orientamento culturale che arriveranno principalmente dall’Italia (non solo iscritti Cisl, Cgil e Uil) ma sono previste presenze da altri Paesi europei e una folta delegazione dall’Argentina. In comune hanno la stessa passione per gli ultimi e il loro cammino dura, con una certa regolarità da circa dieci anni, secondo il metodo dello scambio di esperienze e idee con molta libertà e apertura reciproca, arrivando a costituirsi, da circa due anni, nell’associazione culturale “Made in the world”.

Cerchiamo di entrare nel merito di questa proposta grazie a uno dei promotori dell’associazione. Stefano Biondi è stato, per tanti anni, in Toscana, alla guida dei lavoratori bancari della Cisl. Uno dei pochi che ha denunciato senza timori e compromessi lo scandalo finanziario del Monte Paschi di Siena. D’altra parte, non ci si dovrebbe aspettare nulla di meno da un sindacalista che ha come riferimento ideale don Lorenzo Milani e Simone Weil.

Da cosa e perché è nata Made in The World?

«Il nostro intento è quello di contribuire a far ritrovare a tutto il sindacato le proprie “radici” e la propria “vocazione” attingendo ai migliori valori di ogni tradizione, storia e cultura. L’adesione all’associazione avviene attraverso la sottoscrizione della “Carta Etica” che è il frutto del nostro confronto decennale. Siamo consapevoli che il sindacato ha in un certo senso smarrito la sua strada e che, spesso, i sindacalisti non danno un autentica testimonianza di servizio ai poveri e ai deboli ma sono di scandalo. Proviamo a mettere insieme le notevoli diversità che esistono in questo campo. Tra chi intravede un disegno di Dio sul lavoro e chi non si riconosce in nessuna fede religiosa. In comune, intanto, gli italiani hanno il primo articolo della Costituzione».

La crisi della rappresentanza dei lavoratori è evidente anche nelle parole di Giorgio Cremaschi che ha spiegato, recentemente, le ragioni dell’abbandono della Cgil riconoscendo che «il discredito del sindacato è sicuramente alimentato da una disegno del potere economico ma è anche frutto della burocratizzazione e istituzionalizzazione delle grandi organizzazioni sindacali:

«A prescindere dalla diversità di storia e formazione con Cremaschi, (lui attinge alla fonte marxista mentre le mie radici sono nella corrente personalista in particolare nella declinazione che ne fa Emmanuel Mounier)  questa profonda frattura nella propria vita la stiamo attraversando un po’ tutti anche al di là del sindacato. Abbiamo una visione diversa ma la tensione etica che ci muove è la stessa ed è questa che oggi è andata in crisi. L’attività sindacale non può essere esercitata come una professione. Certo sono importanti e fondamentali le competenze. Al sindacalista occorre grande professionalità ma deve assolutamente rifuggire dal “professionismo”, egli è un ricercatore sociale, la sua ricerca è empirica, soggetta continuamente all’osservazione dei fenomeni ed anche alla valutazione e alla sperimentazione di soluzioni contingenti ma il suo lavoro comprende una notevole componente di gratuità e di generosità, che non può e non deve essere monetizzata, esiste una dimensione di passione e di impegno gratuito, di “Servizio” con la “S” maiuscola che esce da ogni tipo di remunerazione e invece si è introdotto il meccanismo competitivo, tipicamente liberista, della propria crescita personale, dell’apparire e del prevalere prima ancora del ritorno economico».

Il nodo dei compensi è al centro dell’espulsione  di Fausto Scandola uno storico militante veneto della Cisl che ha denunciato le cifre stratosferiche percepite da alcuni dirigenti della sua organizzazione..

«Questa chiusura e mancanza di risposta, che doveva aversi per lo meno dal tempo delle dimissioni di Bonanni, è per me motivo di grande dolore. Esiste una grande questione di interpretazione della democrazia interna che va recuperata dando voce e spazio al dissenso. E invece sembra prevale la paura per gli attacchi all’organizzazione. Una reazione di paura che non è solo della Cisl che ha presentato, tra l’altro, una proposta di legge per limitare le retribuzioni abnormi dei dirigenti anche delle imprese private. È chiaro che in un momento di crisi, con un gran numero di disoccupati e sottoccupati che non riescono a campare, come si fa ad affermare il diritto del sindacalista ad essere retribuito come un dirigente di azienda? Non è solo un problema di trasparenza ma quello di individuare la misura del salario giusto del sindacalista e cioè quante volte la retribuzione di un precario? 

Al sindacalista, si risponde abitualmente, deve essere riconosciuta, tuttavia, una retribuzione per la sue competenze…

«Bisogna stare attenti alle parole. C’è una differenza profonda e sostanziale tra la professionalità e l’essere un “professionista”: è una differenza ontologica. Invece si ragiona come dentro un’impresa, con la stessa logica e le stesse dinamiche di voler emergere sugli altri. Dietro le retribuzioni elevate di certi sindacalisti si nasconde questa voglia di emergere e di essere riconosciuti e quindi di essere pagati come la controparte datoriale con cui si tratta. Il pragmatismo si è imposto come stile di vita nella carenza di valori assoluti e questo lo possiamo verificare nella crisi delle vocazioni “il per sempre” nelle grandi realtà a motivazione ideale come le chiese. Senza riferimenti a valori forti non tiene la fedeltà nel tempo. Nel matrimonio come nel lavoro. Una dimensione contrattualistica individualista rende accettabile la rottura dei legami più solidi in nome della convenienza personale. Si è andata affermando un dimensione liquida della vita e delle relazioni umane soggette ad un etica opportunistica propria del rapporto commerciale. E questo avviene anche nel mondo del volontariato per farsi una idea dello smarrimento che stiamo attraversando».

(prima parte)

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons