Maddalena di Canossa: “fare casa ai poveri”
L’800 è contrassegnato dal sorgere di una molteplicità di famiglie religiose dedite alla carità. Maddalena, facendosi interprete della svolta ecclesiale e sociale in atto, crea attorno a sé una rete di rapporti e di intenti con persone sensibili e significative del periodo e genera una famiglia religiosa: le Figlie della Carità.
Maddalena di Canossa (1774-1835), collocata tra l’eredità aristocratica e le suggestioni dell’Illuminismo, si lascia istruire ponendosi in ascolto del suo cuore e della realtà che sta intorno a lei.
Una carità attiva
Appartenente ad una delle famiglie più illustri nell’Italia del tempo, a 17 anni, contro la volontà dei parenti, vive due esperienze di vita contemplativa fra le “Terese” di Verona e le Carmelitane di Conegliano Veneto, ma vi ci rimane poco, sentendosi più attratta alla carità diretta verso il prossimo bisognoso.
Tornata nel suo palazzo che ospita sia Napoleone che Francesco d’Asburgo, ne assume la gestione, dando prova di notevoli capacità amministrative. Nello stesso tempo si dedica ad attività caritative, raccogliendo ragazze di strada e visitando gli ospedali che la mettono continuamente di fronte alla realtà della povertà e della miseria, conseguenza dei conflitti e dei cambiamenti in atto: molti ragazzi e ragazze, abbandonati a se stessi, son costretti a vivere randagi, mendicando ciò che la strada può offrire.
La maggior parte degli adulti, in particolare le donne, sono condannate all’ignoranza e a rimanere prive perciò, della possibilità di esprimere la loro dignità. Maddalena, cogliendo le rapidissime trasformazioni socio culturali in atto, intuisce le esigenze più profonde e da protagonista si fa attenta interprete della svolta ecclesiale e sociale verso cui ci si sta orientando, e non è sola.
Nella Chiesa e nella sua stessa città vi sono molti fermenti innovativi: Maddalena condivide e sostiene l’opera di Pietro Leonardi, la Sacra Fratellanza de’ Preti e Laici Spedalieri, e ha modo di conoscere Fulvia Mattei, Carlo Steeb, la contessa Trotti Durini di Milano che inizia a Milano un’opera analoga.
Due ragazze
Dopo un primo tentativo di realizzare un piano caritativo a favore dei malati, congelato dal vescovo per una divergenza di vedute, nel 1801, accoglie due povere ragazze orfane e abbandonate che avevano la concreta prospettiva di finire sulla strada. Si fa chiaro in Maddalena il compito al quale è chiamata: le due ragazze non sono estranee, non sono inferiori, esse hanno diritto ad avere una casa propria, devono istruirsi e realizzarsi come persone. Ma trovare casa non è facile, in un clima anticlericale dove i beni ecclesiastici sono espropriati o messi in vendita. Maddalena dà prova del suo amore e della sua intelligenza che non lasciano nulla d’intentato pur di dar “casa e dignità ai poveri”.
Alla Durini, giunta a Verona per verificare sul campo l’operato della Fratellanza, Maddalena fa conoscere una piccola realtà che spera sia l’inizio di un percorso finalmente avviato. Il problema, però, rimane quello finanziario. Maddalena “non poteva ancora disporre dell’eredità lasciatale dal nonno… non era maritata ma non era neppure monaca, perciò la famiglia le lasciava a disposizione solo una modesta cifra per le spese personali. A questa aveva attinto per seguire alcune ragazze fin dal luglio 1799 e per affittare una piccola casa dove ricoverarle, assistite da Metilde Bunioli, una ragazza di umili origini, generosa e concretamente attiva, diventata in breve il suo braccio operativo”.
Nel frattempo “gli avvenimenti incalzavano: Verona, attraversata dall’Adige è divisa a metà. Il palazzo della Canossa si trova sul confine cisalpino, le ragazze assistite da Maddalena sono bloccate nella parte imperiale. Assillata dalla mancanza di denaro, Maddalena , nel tentativo di coinvolgere più persone possibili, lancia un’originale iniziativa tra le sue importanti conoscenze, la Compagnia dei Tre Soldi, un gruppo di persone che si impegnano a metterle a disposizione tre soldi alla settimana. Non ha la risposta che attende (sperava su almeno mille persone), tuttavia non si dà per vinta. È però amareggiata perché costretta dalle difficoltà a rifiutare nuove ragazze. È per lei un momento di prova che le crea lo scrupolo di essere solo una velleitaria e un’ostinata”. Ma continua, incoraggiata dal “conforto che le veniva dal confronto con altri che stavano percorrendo la stessa strada”[1].
La prima casa
Puntando su “una sistemazione decorosa della sua piccola comunità, che le permettesse di spiccare il volo e di iniziare un tipo nuovo di vita religiosa per sé e per le maestre che l’avessero voluta condividere, le vennero in aiuto proprio lo spirito anticlericale e le ciniche leggi di soppressione di tutte le istituzioni religiose ritenute ‘manomorta’… Monasteri e chiese, arredi sacri e opere d’arte, aree urbane e terreni agricoli invasero il mercato e Maddalena… cominciò a cercare un edificio adatto alla sua istituzione… Trovò la casa adatta nell’ex monastero dei santi Giuseppe e Fidenzio, già delle monache Agostiniane, posizione ideale viste le condizioni di povertà del quartiere San Zeno”.
Anche qui si scontra con le difficoltà finanziarie ma, quando “sembrava che ogni via fosse ormai chiusa, si presentò l’allettante possibilità di ottenere gratuitamente l’edificio. Infatti nell’ambito della nuova politica dell’assistenza statale, che considerava i poveri come un problema di ordine pubblico, il ministro degli Interni propose alle autorità veronesi l’istituzione di una casa di lavoro volontario per ragazze adulte e vagabonde, suggerendo di offrire gratis uno degli immobili ormai demaniali a qualche privato di buona volontà che fosse interessato ad avviare l’iniziativa”.
La commissione in accordo con il prefetto offre subito alla Canossa il sospirato San Giuseppe. Maddalena, però, inaspettatamente rifiuta, mossa da due timori: “il possibile condizionamento della sua autonomia da parte delle autorità e, soprattutto, il pericolo morale insito nella forzata convivenza tra giovani ancora recuperabili e donne provenienti da drammatiche esperienze. Dopo numerose trattative, che coinvolsero anche Napoleone, ospite dei Canossa tra il novembre e il dicembre 1807; il 1 aprile 1808 finalmente il vicerè firmò il decreto di cessione… Senza cerimonie, ma certo con grande emozione, l’8 maggio 1808 Maddalena, a trentaquattro anni, entrò nei locali dell’ex monastero di San Giuseppe accompagnata da una decina di ragazze e le collaboratrici più fidate”[2] che costituirono la prima comunità delle Figlie della Carità.
La missione di Maddalena non conosce soste e limiti: apre case da Venezia a Milano, da Bergamo a Trento e promuove varie forme ed espressioni di apostolato. Intraprende l’iniziativa di formare maestre per la campagna, originarie della campagna stessa e destinate a ritornarvi come insegnanti elementari, dopo un certo corso preparatorio compiuto in città. Queste maestre rurali hanno anche il compito di collaborare coi parroci nell’insegnamento catechistico.
Istituisce corsi di esercizi per dame , novità assoluta per il tempo, e promuove lo sviluppo del laicato con le Terziarie. Attorno alla sua figura e alla sua opera gravita una fioritura di altri testimoni della carità: Naudet, Rosmini, Provolo, Steeb, Bertoni, Campostrini, Verzeri, Renzi, Cavanis, tutti fondatori di altre famiglie religiose.
Lo spirito
L’opera di Maddalena nasce da uno sguardo contemplativo su Dio e sull’uomo, soprattutto su Gesù crocefisso. Scrive:“Mi parve volontà di Dio che non cercassi altro che di vivere completamente abbandonata alla sua divina volontà” (Memorie C. 1-20). Guardando e condividendo la condizione dei poveri, coglie tre bisogni fondamentali che determinano la sua operatività: “A tre particolarmente sembrano potersi ridurre le necessità del nostro prossimo, dalle quali dipendono poi quasi tutti i mali. Necessità d’educazione… d’istruzione religiosa… d’assistenza e di sovvenimento nelle malattie e nella morte” (Piano B 6).
E tracciando i diversi piani di fondazione a più riprese ripete: “tutto il popolo giace nell’ignoranza”; “molti vivono in una incredibile ignoranza”; “Tra la moltitudine dei bisogni spirituali… (è da segnalare) l’ignoranza delle povere donne le quali, o per la loro negligenza nel frequentare la Dottrina cristiana, o per mancanza di operaie, non sanno le cose necessarie per salvarsi”[3].
La cultura rimane un fatto di élite: i poveri, soprattutto le ragazze, ne rimangono intenzionalmente esclusi. Maddalena avverte l’urgenza di condividere il pane della Parola con chi è nell’ignoranza delle cose di Dio e si sente sollecitata a farsi prossimo di chi, nell’esperienza della fragilità e della malattia, rischia di non avvertire la presenza amorosa del Signore.
Preoccupata dell’esito negativo, nella vita e nell’inserimento sociale, di giovani uscite dagli orfanotrofi, intuisce che l’insegnamento può essere una prima strada decisiva per prendersi cura della dignità della donna, “dipendendo, ordinariamente, dall’educazione la condotta di tutta la vita” in modo particolare di quella per la quale nessuno nutre un preciso interesse
Maddalena cerca di intervenire sulle cause di povertà che inducono al male,con l’intuizione della carità, che dietro i bisogni fondamentali di educazione, istruzione religiosa e assistenza nella malattia, c’è il bisogno più profondo dell’uomo: quello spirituale.
Per lei i “poveri” possono imparare, tutti hanno diritto di conoscere le ragioni delle proprie scelte, la dignità della persona non è legata al ceto sociale a cui si appartiene, a tutti devono essere offerte le possibilità di potersi guadagnare onestamente di che vivere, di avere condizioni di vita che consentano di scoprire la propria dignità di figli di Dio.
Far conoscere l’amore
Maddalena è consapevole che rendere accessibile a tutti il “sapere”, e in particolare il “sapere della fede”, è un’istanza che nasce dal cambiamento culturale, ma più in profondità essa scaturisce dalla originalità cristiana che è l’amore di Dio per l’uomo, rivelato da Gesù.
Pertanto, condotta dallo Spirito nel mistero della carità di Dio per l’uomo, contemplato nel Signore crocifisso, decide con le sue compagne di farsi presenza attenta e disponibile, mediante i ministeri dell’educazione, della dottrina cristiana e dell’assistenza a chi soffre, per annunciare e rendere visibile con le parole e i gesti la carità di Dio, perché, come dice Maddalena, “Cristo non è amato perché non è conosciuto”; “Non c’è atto di carità più grande quanto quello di cooperare a far sì che amino Dio e uno dei mezzi per farlo amare è quello di farlo conoscere”;“Si viene ad eccitare prima la santa carità in affetto, indi s’insegna a porla in effetto”[4].
Nella sua intuizione, l’educazione è la prima delle tre opere con le quali intende condurre la persona a riconoscere l’Amore che il Signore nutre nei suoi confronti e ad assumersi la responsabilità di amare gli altri dello stesso amore. Ciò è ritenuto importante in quanto la maturità umana sta nel decidersi, dall’interno, per questa opzione, mediante la scoperta delle proprie capacità e della propria dignità.
Maddalena ritiene che il test decisivo della carità secondo Dio stia nel chinarsi sul povero, su chi rischia di essere posto ai margini della storia, escluso dai beni della vita, perché il progetto di Dio è quello di un’umanità “senza esclusi”.
La luce sulla croce
Il carisma di Maddalena si radica nella percezione, che poi diventa contemplazione, di un contrasto vistoso, ben riconoscibile nel Cristo crocifisso: Gesù esprime in forma definitiva e aperta a tutti la sua disponibilità come Amore del Padre, grazie allo Spirito. Egli non si lascia determinare da ciò che gli viene imposto dall’esterno, ma continua a vivere, mosso interiormente dal suo Spirito “amabilissimo, generosissimo, pazientissimo”.
Nel momento del rifiuto – dice Maddalena – Gesù è nel massimo dell’esercizio delle sue virtù, tra le quali risplende, nella forma più alta, la carità verso Dio e verso gli uomini. È attratta dal Signore Gesù, dall’amore che brilla sulla croce, un amore che non viene meno neppure di fronte all’esperienza del rifiuto e che, al di là delle risposte umane, continua a chinarsi sui piccoli e sui deboli.
Questa libertà di amare, vertice della rivelazione di Dio, diventa la grande attrattiva, la grazia che la ispira. Dice: “Mi sentii portata, non potendolo fare io, ad amare Gesù con il cuore di Gesù”[5]; “Non avere altra premura che per la gloria di Dio e la salvezza delle anime, abbandonando a Lui il pensiero di ogni altra cosa”[6]. Per Maddalena l’amore non lo si inventa. Lo si impara alla scuola di Gesù crocifisso, amore che serve e servizio che ama: “spogliato di tutto, eccetto che del suo amore… non respira che carità”[7].
Il duplice comandamento dell’amore è realizzato dal Signore Gesù nella sua croce, dove l’amore verso Dio viene vissuto nel dare espressione compiuta nella storia al suo amore per l’uomo, rendendo gloria a Dio e santificando gli uomini. Nella croce del Signore, Maddalena vede incontrarsi in maniera indissolubile l’istanza religiosa e quella riabilitativo-missionaria che avverte urgere dentro di sé. In questa originale composizione Maddalena riconosce la configurazione del suo carisma.
[1] M. Airoldi – D. Tuniz, La carità è un fuoco che sempre più si dilata, San Paolo, Cinisello Balsamo 2007, pp. 34-36.
[2] Ibid., pp. 43-45.
[3] Matilde di Canossa, Epistolario, a cura di E. Dossi, Pisani, Isola del Liri 1977-1983, pp. 14, 22.
[4] Id., Regole e scritti spirituali, cit., p. 119 e introduzione.
[5] Id, Memorie, Rusconi, Milano 1988, p. 10.
[6] Ibid. p. 50.
[7] Id., Regole, cit., p. 204.