Maddalena Crippa rivive la storia di una madre di Seveso

Va in scena a Milano Anima errante di Roberto Cavosi: storia toccante di una donna che sceglie di non abortire dopo il contagio con la diossina della fabbrica di profumi Icmesa
Anima Errante

Pregno di una tensione umanissima, Anima errante di Roberto Cavosi, secondo testo della raccolta Trilogia della luna dedicata a figure femminili, è stato scelto lo scorso luglio per la 66esima Festa del dramma popolare di San Miniato che, ricordiamolo, porta avanti un “teatro dello spirito” calato, al di fuori di ogni ambito confessionale, dentro gli interrogativi dell’uomo del nostro tempo. Tra i drammaturghi contemporanei più sensibili a coniugare impegno civile e anelito spirituale, cronaca e anima, Cavosi dosa sapientemente toni realistici e poetici allo stesso tempo. Luca Doninelli definisce il suo teatro “purgatoriale”, un’espressione che ben sintetizza la tensione tragica dei personaggi e la vocazione di questi alla speranza. Sono testi in cui, allo smarrimento del presente o del passato si contrappone l'ansia di un riscatto. Emblematica, in questo senso, è la vicenda di Sara. Il contesto è il disastro ambientale del 1976, quando una nube tossica di diossina fuoriuscita dalla fabbrica di profumi dell’Icmesa contagiò undici comuni lombardi, segnando soprattutto la vita della popolazione di Seveso che viene fatta evacuare, mentre si verificano in adulti e bambini gravi forme di cloracne. La protagonista è una donna in stato di gravidanza. Un bambino tanto atteso al quale non vuole rinunciare, lottando contro il parere contrario di tutti, in primis del marito, che la sollecitano ad abortire (il governo italiano stava autorizzando aborti terapeutici per le donne della zona contaminata). Perché il pericolo che il bambino possa nascere deforme a causa del gas velenoso e cancerogeno è reale, anche se la scienza non sa dare risposte certe. Ma lei difende la sua creatura in grembo e si affida alla Madonna chiedendo con crescente e furiosa insistenza un miracolo. Lo esige. Da qui il dramma della coscienza e un percorso di fede carico di dubbi, di speranze, di lotta e di adesione, che culminerà nell’identificazione con Maria, prendendo il suo posto per ripercorrere un dolore indicibile: il dramma della Croce. Anche lei, per trasposizione, vivrà l’esperienza di madre di Cristo sul Golgota, di un figlio che non è in grado di salvare.

Il regista Carmelo Rifici plasma scenicamente questa difficile materia immergendola in diverse suggestioni stilistiche – dal realismo al simbolismo, dalla liturgia medievale al teatro espressionista –, cercando una fusione che, nonostante alcuni passaggi testuali forzati e insistiti, riesce mirabilmente. Sul proscenio una lunga striscia di sabbia (la terra contaminata e ormai secca) è l’elemento materico sempre presente e utilizzato drammaturgicamente. Sulla funzionale scena di alte mura di cemento con filo spinato (l’esterno della fabbrica) spostati a vista per trasformarsi in pareti domestiche (l’albergo dove la coppia vive da sfollata), la vicenda si dipana con una tensione crescente che vede le due “anime erranti” – Maria e Sara – con una valigia in mano nel momento dello scambio di ruoli, come le altre tre donne di Seveso in funzione anche di coro.
Maddalena Crippa ha voce e tempra di donna forte e concreta, che per transfert diventa una Mater dolente laica e commovente, mentre Carlotta Viscovo vive sussulti da Madonna umanissima e spirituale allo stesso tempo. E infine Francesco Colella, lacerato dall’amore per la sua donna e per il nascituro, e dalla non accettazione della scelta della moglie che abbandonerà. Cavosi lo sdoppia, nel potente monologo, in Pilato e in industriale, un alter ego mitico e uno attuale, entrambi pronti a “lavarsi le mani” e andare avanti tentando di cancellare il presente e le sue conseguenze. Il regista così lo vede: «Il marito ha già compiuto la scelta di non accompagnare Sara nel suo viaggio di dolore, così come Pilato rappresenta quella categoria di uomini che da sempre accettano passivamente di difendere l’Occidente ad oltranza, cancellando sensi di colpa e responsabilità personali rispetto alle vittime che questa difesa comporta. L’uomo occidentale, che sopravvive e non viene colpito dalla malattia causata dalle sue stesse armi, si indigna di fronte al male in nome della difesa del suo stesso mondo».

Al Tieffe Teatro Menotti di Milano, dal 10 al 27 gennaio.

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