Maddalena allo specchio
Magdala è citata nei Vangeli come la città di Maria Maddalena, una delle discepole itineranti di Gesù. Situata sulla sponda occidentale del lago di Tiberiade (o Genezaret), è nota dalle fonti giudaiche per la coltivazione delle acacie, il cui legno era trattato con rispetto perché utilizzato nella costruzione dell’Arca dell’alleanza. Di cultura ellenistica, doveva la sua importanza alla fiorente industria ittica (come indicato anche dal suo nome talmudico di Migdal Nunaya, torre dei pesci, e da quello greco di Tarichea, pesci salati) che la vedeva dotata di una flotta di 230 pescherecci. Durante la rivolta anti-romana in Galilea ebbe un ruolo di rilievo quale quartier generale di Flavio Giuseppe, finendo per essere assediata e distrutta dalle truppe di Vespasiano e di Tito.
Ricostruita, tornò ad essere prospera fino al declino economico e all’abbandono definitivo nel IV secolo, dopo il terremoto del 363 che determinò il trasferimento dell’attività commerciale ittica nella vicina Cafarnao. Una certa ripresa si riscontrò nel periodo bizantino quando, accanto ad un monastero dotato di strutture di accoglienza, venne edificato un santuario in cui si venerava la “casa” della Maddalena, meta di pellegrinaggi almeno fino alla fine del XIII secolo. In seguito sulle loro rovine s’installò un villaggio arabo distrutto nel 1948.
Porzioni dell’antica città e delle strutture portuali sono state riportate alla luce negli scavi archeologici che da anni vanno conducendo i francescani dello Studium Biblicum di Gerusalemme. Tra il resto, un complesso termale ha restituito, insieme ad altri manufatti che rimandano alla vita quotidiana, balsamari per prodotti cosmetici e profumi del tipo di quelli menzionati da Luca nel suo Vangelo: «Ed ecco una donna, una peccatrice di quella città, saputo che si trovava nella casa del fariseo, venne con un vasetto di olio profumato; e stando dietro, presso i suoi piedi, piangendo cominciò a bagnarli di lacrime, poi li asciugava con i suoi capelli, li baciava e li cospargeva di olio profumato”».
Risale al 2009 l’importante scoperta effettuata dalle autorità israeliane, durante la costruzione di un centro culturale dei Legionari di Cristo, di una sinagoga risalente al periodo in cui il tempio erodiano era ancora in piedi, unico esempio superstite di un edificio del genere nella Galilea del tempo di Gesù. Al centro dell’aula principale un blocco di pietra reca incisa una menorah (il candelabro a sette bracci) ancora più antica di quella, celebre, raffigurata a rilievo sull’arco di Tito a Roma, dove questo simbolo dell’ebraismo, tutto d’oro, faceva parte del bottino di guerra portato nell’Urbe dopo il saccheggio e la distruzione del Tempio (70 d.C.).
Madgala, insomma, sta delineandosi come uno dei siti archeologici più promettenti della Galilea, se non di tutta la Terra Santa. Preoccupano tuttavia alcuni progetti di edificazione a fini balneari e turistici, che oltre a bloccare gli scavi rischiano di deturpare per sempre le rive del lago. Ma torniamo al discusso personaggio che ha dato luogo a tutta una serie di equivoci sui quali ora fa chiarezza il saggio edito dalla Queriniana: Maria Maddalena. La fine della notte. Fine della notte perché, mentre era ancora buio, stava per sorgere l’alba della resurrezione che avrebbe inondato di gioia la discepola di Gesù.
Nei Vangeli, precisa l’autrice, la biblista Sylvaine Landrivon, si parla di tre donne distinte che ebbero a che fare con Cristo in relazione ad un profumo. Una è Maria di Magdala dalla quale – leggiamo in Luca – «erano usciti i sette demoni»; Giovanni la menziona presente sotto la croce, Marco al sepolcro «con Maria madre di Giacomo e Salome» per ungere il corpo del Maestro, e ancora Giovanni la descrive a colloquio col Risorto, inizialmente scambiato col custode del giardino. Un’altra è l’anonima prostituta che in casa del fariseo Simone cosparge di olio profumato i piedi di Gesù e li asciuga con i suoi capelli. La terza è Maria di Betania, sorella di Marta e di Lazzaro, che compie lo stesso gesto di unzione nei riguardi del Signore, suscitando il rimprovero di Giuda. Tre donne distinte, dunque: e tali le considerarono i Padri Greci, da Severo di Antiochia a Giovanni Crisostomo.
Diversamente da loro, Agostino, e più ancora Gregorio Magno in Occidente, seguito da altri, identificarono le tre in una sola: Maria Maddalena, peccatrice pentita trasformatasi, secondo una leggenda medievale, in santa e patrona degli eremiti per aver condotto vita monastica e penitenziale in Francia nella grotta della Sainte Baume. Questa tradizione ha messo in ombra, al dire di Tommaso d’Aquino e degli ultimi due papi, la peculiare funzione di Maria di Magdala: essere stata prima testimone del Risorto e, secondo una definizione di Ippolito di Roma, “apostola degli apostoli” ai quali annunciò l’evento della resurrezione (senza peraltro essere creduta).
È comunque un personaggio che ha lasciato un segno importante nella storia dell’arte e nell’immaginario comune fino ai nostri giorni. Come testimonia la stessa copertina del volume, che di Georges de la Tour, originale interprete delle innovazioni apportate dal Caravaggio, riproduce una delle sue versioni della Maddalena penitente, quella esposta al Metropolitan Museum di New York. La donna vi è raffigurata nel drammatico momento della conversione, seduta accanto ai gioielli simbolo dei suoi trascorsi, mentre contempla uno specchio e in grembo poggia le mani su un teschio, emblema di ciò che passa. L’atteggiamento meditativo e l’intimità della stanzetta – un interno buio illuminato solo da una candela – trasmettono un senso di pace finalmente raggiunta dopo i tormenti della vita passata.