Macron è una certa Francia
È il presidente dei francesi, colui che si suppone sappia risollevare le sorti di un Paese che negli ultimi anni ha vissuto momenti drammatici e che soffre di un “pessimismo” endemico, come sottolineano tanti osservatori. Riuscirà nell’impresa? Solo il tempo lo dirà. Per il momento ecco una decina di caratteristiche che, secondo noi, lo hanno fatto preferire all’avventura possibile della Le Pen: dieci tratti che presentano in un dettaglio (il neo-presidente) la foto “macro” dell’intero Paese e della sua popolazione.
Primo, è giovane, 39 anni, il più giovane presidente della Repubblica francese, e il più giovane presidente in circolazione nel G20. In un’epoca di pessimismo ambientale e di stagnazione, serviva un volto anagraficamente energico per la Francia.
Secondo, è creativo: ha saputo inventare un partito nuovo e in un anno portarlo al successo. Ha saputo capire la crisi dei partiti tradizionali, prendendo un po’ degli uni (i socialisti) un po’ degli altri (i gaullisti), in un mix molto francocentrico. Ha saputo far credere ai francesi che il Paese non è in declino: «Il Paese, nel suo complesso, non è affatto in fallimento. E lo sa. Confusamente, ma lo sa, lo sente. Da qui l’attuale divorzio tra il popolo e i suoi governanti», ha detto subito dopo essere stato eletto.
Terzo, ha studiato all’Ena, l’Ecole Nationale d’Administration, il fiore all’occhiello di un sistema di studi che sa formare veri leader, che privilegia il merito e che a coloro che riescono a raggiungere l’obiettivo di entrare in una “grande école” apre tutte le porte.
Quarto, è europeista convinto, come testimonia il fatto che sul palco abbia sventolato sia la bandiera francese che quella europea. Dopo la Brexit, la Francia non poteva abbandonare l’Unione, sapendo che senza il terzo incomodo avrebbe potuto dettare l’agenda a tutti, assieme alla Merkel ovviamente.
Quinto, ha saputo coniugare meglio della Le Pen la parola magica, “France”. Nei vari slogan proposti, con il termine “France” inserito, ha saputo apparire più inclusivo di Marine, che invece ha giocato sulla forza e sull’esclusione. La Francia di Macron accoglierà gli immigrati, ma con giudizio. Macron ha scelto non a caso il Louvre per la sua elezione, non la Concorde (della destra) né la Bastiglia (della sinistra).
Sesto, mi si permetta, ha una personalità con tratti regali (l’aplomb che non perde mai, una certa “separatezza” dal popolo, le visioni sempre più alte di quelle dei concorrenti, la cultura, il senso della grandeur…). In Francia queste doti sono dirimenti. Ha privilegiato la “benevolenza” – o forse la “condiscendenza” – rispetto alla “collera” dei lepenisti.
Settimo, nella sua personalità ha però tocchi di imprevedibilità repubblicana (ha giocato la carta di colui che unisce e non di colui che divide, l’addio inatteso al governo del presidente Hollande, certe imprevedibilità nei programmi delle sue visite…). Ha saputo non cedere alla denigrazione sistematica degli avversari: «In questo Paese esiste anche la rabbia, per ragioni che comprendo – ha detto al Louvre –. Farò di tutto nei prossimi cinque anni perché non ci siano più ragioni di votare per gli estremi», cioè Le Pen e Mélenchon.
Ottavo, ha solide alleanze con la finanza internazionale, non solo per il suo passato di banchiere, ma anche per la sua formazione all’Ena. Alleanze che l’hanno reso rassicurante all’Unione europea, al Fondo monetario internazionale, alle istituzioni internazionali. Non ha tratti “popolari”, Macron, ma piuttosto “aristocratici”: questo potrebbe diventare uno dei suoi talloni d’Achille.
Nono, Macron ha una compagna di vita decisa, che sa quello che vuole, come testimonia il fatto che nella cerimonia di festeggiamento non gli ha mai lasciato la mano.
Decimo, Macron ha avuto coraggio strategico e audacia. Direi imitando quelli di De Gaulle. Tra tutte le qualità d’un capo, i francesi privilegiano il coraggio delle idee e una certa spregiudicatezza strategica più che tattica. In ogni caso il capo deve essere audace.
«La Francia ha vinto», ha gridato Macron al Louvre, sommerso dall’inno europeo e immerso in una scenografia rigorosamente tricolore. Ora si tratta di governare.