Macbeth
Non solo il potere-successo, ma la tentazione tout-court. Il primo Macbeth del 1847 Verdi l’affronta come una questione personale, corrusco, aggressivo. La tentazione è melliflua, impavida, dal risultato cieco e omicida, porta follia e rimorsi: è la Lady, che sublima la sterilità nell’ambizione, seducendone il timido Macbeth. Verdi va dritto allo scopo, fra diseguaglianze stilistiche e lampi di genio, ritmibalzanti e virtuosismi agitati, regala scene di poesia in bianco-e-nero alta, feroce quasi nel pathos: un’arte autentica, di forte giudizio morale, altra cosa dal rifacimento parigino del 1865. Un temperamentoso Riccardo Frizza dirige con stupenda energia la giovane Orchestra “Verdi” milanese in ottima forma, e l’allestimento postmoderno (scene e costumi Dionisis Fotopoulos, regia Thomas Moschopoulos) inventa tavoli e obitori, arie grigiosangue, una parete specchiante e riflettente che “afferra” e immette come cosa sua lo spettatore nel dramma shakespeariano- verdiano. Cast eccellente: la Lady di Doina Dimitriu è di razza, nelle agilità come nelle voci fioche del “sonnambulismo”, grande promessa di cantante-attrice, come Robert Hyman (Macbeth), baritono nobilmente verdiano, anche se talora poco fine. Commovente nella sua omofonia il “Patria oppressa” del coro “Verdi”, istruito da R. Gandolfi. Pubblico entusiasta per un’edizione ricca di novità sceniche e di bellezze musicali, certo da esportare. Omaggio ad Astor Piazzolla. Julio Bocca e Ballet Argentino,Alessandra Ferri. Festival Spoleto. Stravince il duo Ferri-Bocca nelle musiche frementi di Bizet: il corpo-a-corpo del duo, con la Ferri-Carmen in rossosangue, è esaltazione della terrestrità, ma “con l’anima”, come pure gli otto numeri del Tango vivo di Piazzolla, corpi e anime liberi e uniti nello spazio. Modernità di linguaggio, gioia del movimento. Ovazioni del pubblico. E alla Ferri un augurio: esplorare l’anima.