Ma quanto allegro rumore!
Torna a Roma, dopo il successo della scorsa stagione al teatro India, la commedia di Shakespeare con la regia di Gabriele Lavia. Protagonista il figlio Lorenzo.
Ambientata in una Messina di fantasia (come Verona, Napoli o Cipro evocate da Shakespeare), Molto rumore per nulla è una delle commedie più briose del Bardo. In scena c’è l’eterna lotta tra i sessi con personaggi costretti a crescere, a misurarsi coi sentimenti, soggiacendovi e ribellandosi secondo i vari caratteri, prima del lieto fine generale col malvagio punito e il potere messo in berlina.
La vicenda ruota attorno a due storie parallele. La prima è quella dei due innamorati “ingenui” Claudio e Ero, divisi da una malvagia cospirazione alla vigilia delle nozze; la seconda s’incunea nelle personalità eccentriche di Benedetto e Beatrice che, tra battibecchi e battute caustiche, si odiano e si respingono fino a cedere al loro amore. Il tutto complicato da intrighi, fidanzati creduloni, schermaglie amorose, scambi di persone, figli illegittimi, congiure, finte morti di fanciulle. Insomma, tanto frastuono per dimostrare che il rumore è quello del vaniloquio delle parole – e del loro potere – capaci di scatenare, sul refolo di un nulla, aspre sofferenze e vane speranze.
Nervatura principale di Molto rumore per nulla è il ritmo trafelato e incalzante che si snoda tra battute e arie musicali, e richiede un nutrito gruppo di attori ben assortiti e capaci di fare squadra. A dirigere, in questa edizione all’insegna della leggerezza, una formazione quasi tutta giovanile scaturita da un laboratorio scenico, è la mano esperta di Gabriele Lavia eccezionalmente non in scena. All’allestimento egli conferisce il segno del gioco del “teatro nel teatro”, motivato dalle tematiche della commedia dove emergono il dilemma esistenziale tra l’essere e l’apparire, il tema del doppio e della maschera. E che siamo dentro una rappresentazione lo evidenziano subito gli attori seduti attorno ad un tavolo, intenti allegramente ad affrontare il testo. Dapprima in abiti d’oggi, poi all’avviarsi delle azioni con l’annuncio delle singole scene indossano corpetti e fogge d’epoca calpestando una distesa di tappeti persiani. Sull’onda musicale di due pianoforti che accompagnano le canzoni create per lo spettacolo, gli interpreti si scatenano con disinvoltura e padronanza scenica che diventa però spesso troppo chiassosa, a scapito delle finezze del fraseggio verbale. Lo spettacolo comunque scorre piacevole pur con qualche pesantezza e, nell’insieme, il persistere del segno laboratoriale.
Nella sua struttura la commedia ha dei rimandi ad altre opere di Shakespeare: dalla Bisbetica domata a Come vi piace, a Romeo e Giulietta (allusione non solo alla coppia, ma pure alla figura del frate impiccione, qui impersonato da un appropriato Andrea Trovato dalla divertente sicilianità). E spassosissimo è anche il capo della cialtronesca ronda delle guardie, Andrea Nicolini, nonché autore delle musiche, che anima una delle scene più gustose – e difficili – con la sua comicità puramente verbale. Bravi la “bisbetica” Beatrice di Federica Di Martino, e Lorenzo Lavia nel ruolo di Benedetto.
Al Teatro Argentina di Roma fino al 13 dicembre e in tournée.