Ma proprio non c’è rimedio?
Aumento del 30 per cento (o giù di lì) dei casi di corruzione nella pubblica amministrazione e frode.
Aumento del 30 per cento (o giù di lì) dei casi di corruzione nella pubblica amministrazione e frode: due “patologie” denunciate nel rapporto per l’inaugurazione dell’anno giudiziario 2011 da parte del procuratore generale della Corte dei Conti, Mario Ristuccia. Cifre che in verità lasciano perplessi e un po’ sgomenti. Non che si ignorassero le problematiche di quel “pianeta” cui sono affidate gestione e tutela dei pubblici interessi, ma i numeri, certo, si sperava che, si crescessero, però in termini di redditività e proficuità sociale dei servizi resi.
Non a caso il presidente della Corte stessa, Luigi Giampaolino, nella medesima occasione inaugurale, ha posto l’accento su quelli che egli ha definito «quattro pilastri» per la lotta alla corruzione: l’etica, la trasparenza attraverso l’uso delle intercettazioni telefoniche, la semplificazione e il controllo. Condividiamo. Ma ci sia consentito indicare anche un’altra direzione verso la quale orientare la bussola: il senso di “appartenenza” alla cosa pubblica di tutti noi, dal più rispettabile dei giudici della magistratura contabile a ciascuno degli utenti di questa talvolta indefinibile “macchina collettiva” che definiamo “pubblica amministrazione”.
E sì, perché è a questa macchina che ciascuno di noi appartiene, sia quando eroga servizi sia quando ne fruisce: ognuno può, deve sentirsi responsabile del suo funzionamento. E questa esigenza di riappropriarci dei nostri stessi spazi di vita (sia che facciamo una fila davanti agli sportelli del Cup, sia che amministriamo la giustizia in un’aula di tribunale, sia che tiriamo la cordicella del campanello per sancire la fine dell’ora scolastica) diventa impellente: non possiamo affidare “solo” a controlli esterni la funzionalità di questo apparato.
Il rapporto del procuratore generale è forte e necessario, e bene si farà a dare seguito alla concretizzazione dei “quattro pilastri”: ma la via delle sanzioni, dei controlli e della trasparenza esige una scelta di campo da parte di tutti, perché il destino della “cosa pubblica” non sia un “affare” (più o meno discretamente gestito); ma, prima ancora, un luogo ove riappropriarci della nostra identità.