Ma li conosciamo questi ragazzi?
“Non so più come fare con Stefania – mi confida una mamma preoccupata -. Non è più la bambina ubbidiente di qualche tempo fa. Comincia a ribellarsi, ad avere nuove esigenze, ad essere inquieta. Sai, la sorella, che adesso ha 24 anni, non mi ha dato questi problemi”. Il fatto è che Stefania, molto semplicemente, non è più una bambina. Ha da poco compiuto 14 anni e il mondo vuole scoprirlo da sé. E non è lo stesso di quello che dieci anni prima aveva conosciuto la sorella maggiore. Genitori spiazzati, insegnanti che non sanno da dove cominciare, educatori che non riescono a coinvolgere i ragazzi. Il mondo degli adulti guarda a quello degli adolescenti con un grande punto di domanda. Che fare? E l’interrogativo si fa angoscia quando Erika e Omar, Nico, Mattia e Nicola, le tre ragazze di Chiavenna, Roberto di Sesto San Giovanni, Alessandro di Napoli seminano morte. Fra i loro coetanei e non solo. Ragazzi la cui normalità, apparente o reale, suscita nella mente di tanti genitori la preoccupazione, l’incubo quasi, che dietro i propri figli possano nascondersi dei mostri, in grado di impugnare un coltello o guidare all’impazzata ed uccidere. O uccidersi. Per un compito andato male, una bocciatura, un amore finito. Come è possibile che accadano questi drammi? ci si chiede. Ed anche cosa si può fare per evitarli? Certo gli adulti non offrono spesso esempi migliori. Mariti che uccidono le mogli, mamme che si “sbarazzano” dei propri figli, uomini che sterminano intere famiglie. “Ennesima strage della follia” dicono al telegiornale. E solo a sentire quella frase verrebbe voglia di spegnere perché non se ne può più di assistere impotenti (ma si è davvero tali?) ad un vero e proprio stillicidio, tanto più drammatico in quanto consumato dentro le pareti domestiche. “Ci chiediamo – ha detto a tal proposito di recente a Ferrara il presidente Ciampi – se il rilievo altissimo che viene dato dai mezzi di comunicazione non finisca per fare acquisire a quei drammi, anche se non è questo l’obbiettivo, una valenza esemplare che essi sicuramente non hanno “. Ed evidenziando come, purtroppo, la “normalità” non faccia notizia, invitava i mass media a “conoscere e far conoscere quella che è la realtà di tutti i giorni, l’immagine vera di quella moltitudine di ragazzi che studiano, che vivono in famiglia in serenità, che dimostrano di non sentirsi affatto estranei o indifferenti alla società in cui vivono e ai suoi problemi”. Certo, il fatto che le uniche notizie sui ragazzi riguardino storie in cui essi sono protagonisti di morte, può essere davvero una sorta di istigazione a delinquere (come lo è per gli adulti, è ovvio). Quantomeno la proposta di modelli a senso unico. Tanto più in una società che sembra dominata dalla legge del più forte (la politica nazionale ed internazionale insegna), regolata dal modello del branco (guai a non conformarsi), asservita al successo (vietato arrivare secondi)! Ma l’immagine che spesso emerge è per lo più fuorviante. Davvero l’albero che cade fa più rumore della foresta che cresce, come recita un proverbio. E così quello dei ragazzi che uccidono tende a diventare un fenomeno. Che invece non è per il numero comunque ridotto di adolescenti coinvolti. Dati forniti di recente dalla polizia confermano appunto che non c’è alcun boom della violenza minorile. Attenzione, non vogliamo dire che venti episodi l’anno, quelli rilevati, siano una cosa del tutto trascurabile, è chiaro. Solo che, appunto, ce n’è molti di più positivi che nessuno porta alla ribalta. Anche a proposito del fatidico rapporto tra adulti e ragazzi, dove tanti “muri di Berlino” possono crollare. A TU PER TU CON LA DROGA Siamo sposati dal 1968, abbiamo sei figli ed abitiamo vicino Varese. Alberto, il nostro quarto figlio, comincia adolescente a frequentare compagnie sbagliate ed a fare uso di droghe leggere. Non abbiamo esperienza in merito e cadiamo subito in una profonda angoscia. Il ragazzo ne combina di tutti i colori ed un mattino presto, mentre noi pensiamo che fosse a letto, ci chiamano dall’ospedale per dirci che è stato ricoverato a causa di un incidente in moto avuto con un amico. Quando gli chiediamo spiegazioni ci risponde sprezzante e minaccioso. Qualcuno successivamente ci riferisce cosa fa, ci mette in guardia, ci consigliano anche di metterlo alla porta. La notte spesso troviamo la sua camera vuota, malgrado abbiamo sbarrato tutte le porte per impedirgli di uscire. Diventa impossibile dormire. Ci sostiene la fiducia in Dio che è padre anche suo e cerchiamo comunque di tenere aperto uno spiraglio di dialogo. Ad un certo punto Alberto va a vivere per conto suo. Lo aiutiamo a sistemarsi un appartamentino. Quando viene a trovarci ci accorgiamo che fa ancora uso di sostanze stupefacenti. L’estate scorsa, poco prima che partissimo per le vacanze ci telefona per chiederci aiuto. Si trova in un profondo stato depressivo e non riesce più a lavorare. Pensiamo di seguirlo meglio stando da soli con lui e ad un certo punto dobbiamo interrompere la vacanza perché Alberto è molto agitato, mangia e dorme poco, ha continui sensi di colpa. Consultiamo medici e specialisti con scarsi risultati. Resta con noi 32 giorni. Facciamo insieme lunghe passeggiate nei boschi e pian piano trova il modo di aprirsi e confidarsi. Riprende vigore e fiducia in se stesso. Butta via le sue cassette di musica hard, riprende il lavoro, si riavvicina spontaneamente a Dio. Fino a tornare a casa e riscoprire la famiglia. D.L.H. UNA PRESIDE SI RACCONTA Venivo da una settimana faticosa e la telefonata di venerdì pomeriggio aveva dato il “carico finale”. Un’insegnante mi comunicava che, dopo lunga e sofferta riflessione, aveva deciso di lasciare l’insegnamento perché è sempre più difficile e faticoso, perché i ragazzi sono sempre meno educati, motivati, meno capaci di impegno, di responsabilità, di senso del dovere, di rispetto verso i docenti L’ascoltavo in silenzio cercando di assorbire il suo dolore, ma anche di mettermi dalla parte dei ragazzi. Le dissi che ero molto triste che, dopo tanti anni di servizio insieme, lasciasse la scuola per questi motivi, con questa amarezza, con questa sintesi negativa che oggettivamente comprendevo e rispettavo e che, soggettivamente, speravo esistessero ancora strade percorribili per educare quest’età difficile che va dalla 1° media alla quinta liceo. Nell’anima il buio si era fatto più denso: mancano due settimane alla conclusione di un anno scolastico e sembra che tutto crolli, che tutte le energie profuse per educare siano state elevate sulla sabbia . L’indomani mattina avevo tuttavia un appuntamento particolare: con alcuni ragazzi della scuola avremmo partecipato al Supercongresso (vedi Città nuova 11/2002). Il programma al Palaghiaccio di Marino è coinvolgente. I ragazzi stessi sono tutti protagonisti. Alla conclusione esco da quel palazzetto come in trance: quei 9000 ragazzi erano stati ai loro posti per 4 ore! I miei alunni che a scuola chiedono di andare al bagno, a bere, a misurare la febbre, a telefonare a mamma, con una frequenza che ha dell’eccessivo, non avevano, in 4 ore, neppure bevuto! Erano uno con quanto accadeva sul palco: movimenti, canti, applausi, ritmi, luci della torcia, ondeggiamenti di mani, di braccia La sfida educativa era risolta: un linguaggio accessibile, Vangelo vivo, coinvolgimento personale, esperienze di vita, fiducia nelle loro possibilità, ideali alti e forti Grazie a quel pomeriggio, grazie a ciascuno di quei 9 mila ragazzi, torno a scuola rasserenata, pronta a riaccogliere la sfida di educare quest’età come una opportunità eccezionale che Dio mi chiede nel quotidiano. P.G. “AIUTIAMOLI A TIRARE FUORI IL MEGLIO DI SÉ” Con quattro giovani poco più che maggiorenni mi ritrovo a fare dei progetti su come seguire nella nostra città tre gruppi di ragazze più piccole, dai 9 ai 16. È una raffica di idee. Mi godo lo “spettacolo” di vedere queste ragazze, oramai cresciute, che avevo conosciuto qualche anno fa, quando, ancora piccole, erano altri a far progetti per loro. Perché avessero una vita felice, perché l’adolescenza, la “terribile” adolescenza fosse per loro una fase delicata sì, particolare anche, ma non traumatica. Perché potessero avere la forza di ricominciare dopo aver sbagliato senza doversi vergognare di non essere state perfette Ricordiamo insieme alcune situazioni in cui avevano dovuto superarsi per tirare fuori talenti che fino ad allora non sapevano neanche di possedere. Che cardiopalma, a volte! Ci facciamo tante risate adesso che Debora balla benissimo, Miriam e Federica non si vergognano a cantare visto che insieme ad altri hanno formato da un paio d’anni un complesso musicale. Tante stecche all’inizio ma ormai son diventati bravi. Ce l’hanno fatta. Sì, proprio così, non si sono arrese. Forse anche perché qualcuno ha creduto in loro e le ha aiutate a tirare fuori il meglio di sé. Le ha incoraggiate, sostenute, scusate, capite, ha dato fiducia. Le ha anche corrette, talora energicamente. Senza pretendere che corrispondessero al modello ideale di “brave ragazze”, ma accompagnandole nei loro sbalzi di umore, nei fallimenti, nelle paure. Con uno sguardo magari o una strizzatina d’occhio, un sms, uno squillino o un’e-mail. Così per Marta non è stato un dramma essere bocciata al primo anno delle superiori; Alessandra ha superato il momento terribile in cui il papà se n’è andato da casa; Stella è riuscita ad aiutare un’amica anoressica; Sara ha saputo dire di no ad un’amicizia non trasparente con un ragazzo. Dal rapporto con il mondo degli adolescenti ho imparato tante cose. Anch’io sono cresciuta con loro ed ho capito tra l’altro che una cosa chiedono a noi adulti: stare al loro fianco. Ad uno ad uno perché ciascuno è un universo. Meraviglioso, tutto da scoprire. ASCOLTARE, ORIENTARE, DARE FIDUCIA Alcuni suggerimenti di Ezio Aceti, psicologo dell’infanzia, esperto dell’età evolutiva, sul rapporto genitori-figli. Quella di educare le nuove generazioni oggi ha assunto spesso i connotati di una vera e propria sfida. Come affrontarla perché nessuno (tanto gli adulti che i ragazzi) risulti perdente? “Perché i nostri adolescenti possano esprimere con maggior creatività e fantasia quello che hanno dentro – non dimentichiamo che il futuro è nelle loro mani – bisogna evitare di banalizzarli. Possono essere utili in questo senso quattro atteggiamenti: ascolto, orientamento, prevenzione, progettualità. “L’ascolto. Deve essere profondo. Generalmente noi adulti siamo più portati a quello che definirei ascolto disturbato (cioè loro parlano, noi li ascoltiamo ma nel frattempo facciamo altre cose) o frammentario (loro parlano, noi li ascoltiamo ma prima che finiscano abbiamo già le nostre risposte da dare). Invece bisogna essere totalmente in loro. “L’orientamento. I nostri figli sono bombardati da messaggi (soprattutto televisivi), ma nessuno dice loro cosa è bene e cosa è male. Questo è compito dei genitori e degli educatori. Poi potranno pure trasgredire ma ciò non toglie che hanno bisogni di orientamenti chiari. “La prevenzione. I nostri bambini e adolescenti rispetto a quelli di una volta sono da un punto di vista cognitivo più intelligenti, ma dal punto di vista emotivo più fragili. Questo succede perché l’infanzia è raccorciata. I bambini di oggi, sembrano infatti dei piccoli adulti per cui quando raggiungono l’adolescenza a volte tendono a riappropriarsi dell’infanzia. Prevenire significa far vivere loro esperienze significative di senso. “La progettualità. Ovvero presentare modelli forti. La società deve investire risorse in una nuova figura, quella dell’educatore. Anche pagando, purché siano persone preparate e presentino esperienze morali forti e significative”. Non le sembra che a volte i genitori si trovino impreparati di fronte alla formazione dei propri figli e per questo tendano a delegare ad altri questo compito? “Bisogna difendere e sostenere la famiglia. Quindi non accusarla, ma aiutarla mediante una maggior formazione, investendo più risorse. Servono sempre più anche figure di appoggio (come può essere quella dello psico pedagogista) che vanno portate nelle scuole – dalla materna in poi – non confinate nelle Asl dove arriva solo chi ha casi gravi da risolvere. È una rivoluzione culturale che va fatta perché l’aspetto educativo è troppo importante”. Cosa genera in una persona, soprattutto nell’età adolescenziale, sentire che gli altri hanno fiducia, o non ce l’hanno, nei propri confronti? “La stima di sé che li fa capaci di affrontare il mondo. Diversamente faranno più fatica. Gli adolescenti hanno un enorme bisogno di regole ma nello stesso tempo hanno bisogno di sentire che qualcuno si fida di loro. Ciò infatti vuol dire che sono nella mente di qualcuno, che almeno qualcuno pensa bene di loro. Così si sentono importanti e in grado di donarsi agli altri. “Coi nostri ragazzi dobbiamo saper “volare alto”. Ma come si fa ad avere fiducia in loro? Dobbiamo amarli per quello che sono.Anche come genitore darei un suggerimento molto semplice e concreto: non mandiamoli mai a letto senza averli salutati. Anche se un ragazzo avesse fatto degli sbagli sediamoci vicino al suo letto, diciamogli dove ha sbagliato (guai a non farlo), ma dopo diamogli anche il bacio della buona notte e incoraggiamolo. Basta anche una frase: “Guarda, vedrai che domani andrà meglio”. “Possiamo fare questo perché Qualcuno ci ama per quello che siamo, Dio. Se lui ha fatto questo con noi, anche noi possiamo farlo coi nostri figli”.