Ma l’etica non è il diritto penale

Attenzione a non confondere responsabilità morale e politica con la responsabilità penale. Un fatto può essere penalmente irrilevante, ma non per questo diventa accettabile, soprattutto se compiuto da un rappresentante politico
Claudio Scajola

Il caso Scajola è emblematico di un certo modo di vedere, a mio avviso pericoloso. Dopo la recente assoluzione perché il fatto non costituisce reato nel processo penale per la famosa casa con vista sul Colosseo, il politico ligure si sente pienamente riabilitato. Si parla addirittura di possibili nuovi incarichi di vertice in Forza Italia. Eppure il fatto, pur non costituendo reato secondo il giudice, è e rimane grave: il fatto che un ministro (all’epoca, a capo del dicastero per lo Sviluppo economico) si faccia pagare parte dell’abitazione da un imprenditore beneficiario di appalti pubblici non è accettabile. Infatti i primi a chiedere le sue dimissioni erano stati, con forza, all’epoca, i giornali del centrodestra.

Questo modo di pensare non è nuovo. Anche l’ex ministro De Girolamo, prima di dimettersi per i fatti di Benevento, si è difesa sostenendo che non c’era nessuna indagine su di lei. L’influenza indebita, tuttavia, ancor prima di essere un eventuale reato, non è accettabile da parte di chi fa politica. Lo stesso dicasi per il tentativo del ministro della Giustizia Cancellieri di far pressione per la scarcerazione per motivi di salute di un’amica. Per non parlare dei recenti insulti da parte di esponenti del Movimento 5 Stelle al presidente Napolitano e alla presidente Boldrini.

Da dove nasce l’equivoco e il pericolo? Dal non saper distinguere due campi: il diritto, non solo penale, risponde alla domanda: cosa è conforme alle regole? L’etica risponde ad una domanda diversa, più ampia: cos’è bene, cos’è giusto? Un fatto può benissimo essere penalmente irrilevante e non per questo essere un bene. Il capostipite di tutti gli scandali finanziari, il caso del gigante energetico Usa Enron, che ha fatto fallimento per l’uso sistematico di trucchi contabili e fiscali, lo ha dimostrato. Il presidente dell’impresa, Jeff Skilling, è finito in prigione per via della contabilità creativa, ma le malversazioni erano molto più ampie: era pratica corrente, ad esempio, che i colleghi si dessero un punteggio gli uni gli altri, e tutti quelli che ottenevano i peggiori risultati venivano licenziati, non prima però di essere sbeffeggiati pubblicamente. Il fatto di umiliare coscientemente i collaboratori non avrà magari rilevanza penale, ma di certo non è un bene.

Nel 2011, tre eurodeputati hanno accetto la promessa di una somma di denaro da alcuni giornalisti inglesi, che si sono finti lobbisti, in cambio della promessa di proporre emendamenti a una serie di leggi europee che il legislatore europeo doveva approvare. Quando i giornalisti hanno pubblicato la notizia, con i nomi dei parlamentari, due di essi si sono dimessi, ma il terzo no, sostenendo di non aver compiuto “nulla di illegale”. Di fatto, all’epoca il codice deontologico del Parlamento europeo non vietava espressamente questo tipo di comportamento (probabilmente si pensava bastasse il buon senso). Recentemente, uno dei tre parlamentari è stato assolto da un tribunale nazionale nel processo penale a suo carico. Il tribunale ha considerato che, essendo il tentativo di corruzione divenuto rapidamente di dominio pubblico, il parlamentare in questione non ha avuto tempo di proporre concretamente gli emendamenti promessi. Può questo bastare a farci ritenere il suo comportamento meno grave? No di certo: un rappresentante pubblico non può ricevere denaro per farsi portavoce di un interesse privato, punto e basta.

Qui sta il pericolo: nell’opinione pubblica è diventato quasi normale pensare che tutto ciò che non abbia rilevanza penale, o qualsiasi comportamento fino a che non sia censurato da una sentenza di condanna definitiva, sia lecito. Bisogna dire che i politici hanno contribuito grandemente, con i loro comportamenti e il loro sfacciato senso di impunità, a questo comune sentire. Eppure non è così: chi ricopre una carica pubblica ha una responsabilità innanzitutto morale e politica: deve dare l'esempio di servizio al bene comune e di coerenza di condotta, e questo vale anche per la sua vita privata. Quello che fa, anche tra le mura di casa, è o può essere visto. Chi sta in alto proietta luce od ombra, e quello che fa, come lo fa, diventa un modello per la società. Se il capo del governo evade le tasse, perché non dovrei farlo io? Se raccomanda gli amici allora che male c’è? Se tal amministratore regionale ruba denaro pubblico, anzi decine di politici regionali, allora…

Il male c’è, e non è necessario che sia sancito da una sentenza definitiva. Va riconosciuto e condannato. Non è solo una questione morale. È una questione di persone con la fibra adatta a prendere le decisioni giuste, in particolare in momenti difficili come questo della crisi economica. È anche una questione di credibilità, un bene scarso e necessario, per prendere decisioni impopolari (per esempio misure serie per limitare l’evasione fiscale), per negoziare con i privati (vedi il caso Electolux) e i partner internazionali (la credibilità, individuale e complessiva della classe politica, sarà un ingrediente essenziale nel semestre di presidenza Ue che ci aspetta nella seconda parte dell’anno).

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