Ma dov’è il popolo libico?

Domenica 19, a Berlino, si riunisce una conferenza per il futuro della Libia a cui parteciperanno tutti gli attori presenti sullo scacchiere di Tripoli, Misurata e Bengasi. Grande assente, la popolazione
16 gennaio 2020, Berlino: le barriere alla Porta di Brandeburgo per la Conferenza sulla Libia. Foto di: Annette Riedl/AP Images

Si annunciano presenze roboanti alla conferenza di Berlino, convocata dalla Merkel per cercare una soluzione al rebus libico: Stati Uniti, Russia, Regno Unito, Francia, Italia, Turchia, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Repubblica Democratica del Congo, Algeria e ovviamente Germania, senza dimenticare organizzazioni internazionali come Nazioni Unite, Lega Araba, Unione Africana e Unione Europea. Saranno soprattutto presenti i due grandi contendenti sull’attuale scacchiere libico, cioè Fayez al-Serraj, presidente del consiglio presidenziale e primo ministro del governo di accordo nazionale (Gna) riconosciuto dall’Onu, e Khalifa Haftar, leader dell’esercito nazionale libico (Lna) e uomo forte della Camera dei rappresentanti di Tobruk.

Gli schieramenti sono così composti: da parte di al-Serraj negli anni scorsi si è coagulata un’alleanza composta sostanzialmente da diversi Paesi europei, dall’altra, cioè dalla parte di Haftar, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita ed Egitto (cioè la coalizione anti-Fratelli musulmani). In mezzo i francesi che, come spesso accade, pur essendo materialmente dalla parte di Haftar, hanno sempre mantenuto una loro indipendenza, oltre a Stati Uniti e Regno Unito che, dopo l’intervento “scellerato” del 2011 voluto e guidato da Sarkozy e Cameron, si sono via via disinteressati al quadrante libico.

Recentemente, ed è questo che ha “costretto” alla riunione di Berlino, sono scesi in campo due attori di gran peso, Russia e Turchia, guarda caso le due potenze presenti sul Mediterraneo più duttili, i cui governanti non hanno alcun problema a far scendere in campo i loro eserciti, avendo il supporto di democrazie particolarmente condiscendenti col volere dei loro capi: Putin a fianco di Haftar e Erdogan di al-Sarraj.

Il presidente turco Erdogan (AP Photo/Burhan Ozbilici)
Il presidente turco Erdogan (AP Photo/Burhan Ozbilici)

Perché Ankara e Mosca sono scese in campo così d’improvviso? C’è una ragione comune e altre invece particolari: se Erdogan ha nel mirino la questione del gas cipriota, che rivendica totalmente o quasi per sé, affermando che tutto quanto viene estratto dalla “piattaforma continentale turca” gli appartiene – e in questo si è schierato contro Cipro e tutta l’Europa che vorrebbe partecipare alla spartizione della torta –, Putin invece ha ripreso una sua posizione politica privilegiata a livello planetario essendo presente nell’altro grande bubbone della regione Mena (Middle East-North Africa), cioè la Siria, con la quale ha ritrovato una centralità persa sulla scena internazionale. Seguendo la stessa logica, Mosca pare interessata semplicemente ad essere presente sulla scena, pur avendo un ruolo ancora non operativo. La ragione comune, invece, sta nella “misteriosa” alleanza tra Ankara e Russia sul fronte siriano-curdo, in cui, pur essendo su fronti apparentemente opposti, alla fine si spartiscono la torta a danno delle popolazioni locali. La conferenza di Soci (che riunisce anche l’Iran) è stata il luogo dell’inizio di questa alleanza tra uomini con le mani libere dalle pastoie delle democrazie occidentali.

Putin ha cercato di anticipare tutti, facendo firmare un accordo di pace ai due contendenti già a Mosca, qualche giorno prima della conferenza di Berlino, ma non c’è riuscito (insolito fallimento), perché Haftar ha puntato i piedi all’ultimo momento. Perché? Probabilmente per una attuale superiorità militare (relativa) sul terreno, che lo porta a chiedere per sé maggiori vantaggi in vista dell’eventuale accordo da raggiungere alla conferenza di Berlino. Emiratini ed egiziani, infatti, sostengono pesantemente le sue truppe.

Cosa succederà nella capitale tedesca non è facile capirlo. Gli attori in campo hanno ognuno i propri interessi (per tutti, oltre a quelli particolari già elencati, Italia e Francia, spesso contrapposte in questi ultimi anni, per interessi legati al petrolio e al controllo delle migrazioni), e quindi non risulterà facile conciliare tutte queste tendenze diverse. Forse si otterrà un semplice “cessate il fuoco”, ma è difficilissimo che si arrivi ad un accordo di più larga portata.

AP Photo/Santi Palacios
AP Photo/Santi Palacios

p.s. Mi sia permessa una chiosa che potrebbe sembrare politicamente scorretta: ma in tutto ciò, dove sta il popolo libico? al-Serraj e Haftar sono certamente i rappresentanti più forti delle due tribù principali del Paese, quella di Tripoli e quella di Bengasi, con alleanze varie in Libia con altre tribù e relative milizie, ma certamente non rappresentano il popolo libico, dal 2011 sballottato, dopo il lungo e discusso regime dittatoriale di Gheddafi, in un  caos che gli osservatori più attenti avevano preconizzato. Un popolo che vive in una grave indigenza materiale, in una terribile insicurezza e senza prospettive realistiche di pacificazione. Così il male della regione Mena si rivela ancora una volta quel micidiale coacervo di ingerenze straniere che impedisce ai popoli della regione di prendersi in mano e trovare una vivibilità su modelli locali. Le manifestazioni di Algeri, Beirut, Baghdad, Cairo e Khartoum di questi ultimi mesi richiedono proprio la liberazione da ingerenze straniere, corruzione e malgoverno. Bisognerebbe convocare una riunione per favorire la fine di tali intromissioni.

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