Ma dov’è finito il sole in questo pazzo, pazzo clima?

Il pianeta terra è vittima del surriscaldamento globale che continua ad aumentare con costi gravissimi in termini di mutamenti climatici
Esondazione del fiume Seveso a Milano

Il clima del mese di luglio di quest’anno non lo dimenticheremo velocemente. È stato ribattezzato “luglio settembrino” a causa delle forti piogge, delle temperature incerte, del clima autunnale. Questo mese finirà così come è iniziato, cioè con forte maltempo! Un grave danno per l’economia del Belpaese, per l’agricoltura rovinata dalla grandine, per i luoghi turistici balneari, ma anche per la salute dei cittadini che, a causa delle temperature molto altalenanti, si ritrovano a letto con febbre, tosse e mal di gola. La sensazione di grande calore nonostante il cielo coperto deriva dall’umidità, che non smette di assediare il territorio: si sono toccate spesso punte del cento per cento, in questi giorni.

La nuova forte perturbazione proveniente dall’Atlantico porta veri e propri nubifragi accompagnati da grandine e colpi di vento, questo dovuto alla grande energia provocata dallo scontro tra masse d’aria molto differenti. Le nostre Alpi rivedranno la neve in questa pazza estate, che farà da capolino anche in qualche cima più alta dell’Appennino centrale.

Ma non dimentichiamoci che il mese di giugno è stato tra i più caldi dell’ultimo secolo. Era dal 1880, da quando cioè si sono cominciati a registrare i dati su clima e temperature, che a giugno non faceva così caldo.

Sono ormai quasi 30 anni che la temperatura globale è al di sopra della media, con un valore che si attesta intorno ai 16,2 gradi Celsius, rispetto alla media di 15,5 gradi del secolo scorso. Caldo record è stato rilevato, fa sapere la National Oceanic and Atmospheric Administration, in Groenlandia, in alcune aree del Sud America, dell'Africa orientale e centrale e del Sud-est asiatico.

Bisogna abituarsi a questo clima pazzo? Purtroppo sì. Dobbiamo farcene una ragione. Il clima sta cambiando. Bisogna però puntare sulla prvenzione con azioni politiche internazionali adeguate. Gli scienziati avvertono che entro la fine di questo secolo dovremo fare i conti con un aumento della temperatura di 4 gradi Celsius rispetto ai livelli pre-industriali. Le temperature medie globali sono già aumentate di 0,85 gradi dal 1880. Sembra poco, ma non è così.

La conferma arriva dal quinto rapporto Ipcc (Intergovernmental panel on climate change) in cui si evidenzia che il surriscaldamento del pianeta è alla base dell’incremento della frequenza e dell’intensità di eventi climatici “estremi”, con pesanti conseguenze in termini di vite umane e danni per alluvioni, frane, esondazioni dei fiumi.

L’Europa (e quindi anche l’Italia) ha deciso di fissare il target di riduzione di Co2 (anidride caronica) al 40 per cento entro il 2030, nonostante il vecchio continente contribuisca alle emissioni globali per poco più dell’11 per cento del totale.

Il vero problema nasce dai Paesi in via di sviluppo e dalle economie emergenti che contribuiscono oggi a oltre il 60 per cento delle emissioni globali (con la Cina in testa, seguita dagli Stati Uniti) che non danno il buon esempio, come invece fa l’Europa. L’approccio unilaterale è fallito con la Conferenza di Copenaghen sui cambiamenti climatici del dicembre 2009, dove le altre grandi economie rifiutarono di assumere impegni vincolanti di riduzione delle emissioni sulla base dello schema del Protocollo di Kyoto.

Un panorama che difficilmente ci fa intravedere il bicchiere mezzo pieno, anche secondo il Rapporto 2013 “Redrawing the Energy-Climate Map” dell’International Energy Agency (Iea) che sottolinea come “il mondo si sta allontanando dall’obiettivo concordato dai Governi di limitare l’aumento della temperatura media globale nel lungo termine entro i 2°C”. Ma non è tutto perso. Secondo l’agenzia si può ancora invertire la rotta se venissero condivise e realizzate entro il 2020 da tutte le economie alcune misure considerate prioritarie.

Tra queste, l’aumento dell’efficienza energetica; la limitazione della costruzione e dell'uso di centrali a carbone; la minimizzazione delle emissioni di metano durante la produzione di petrolio e gas naturale e l’accelerazione della (parziale) eliminazione dei sussidi alle fonti energetiche fossili. Misure che richiedono alcune condizioni di background, come l’introduzione a livello globale di un carbon price e la definizione di regole comuni per la mobilizzazione e finalizzazione di risorse finanziarie pubbliche e private per la decarbonizzazione dell’economia. Una bella sfida che però, secondo il Rapporto dell’Iea, può davvero dare una sterzata al futuro del nostro pianeta, per i nostri figli e chissà, per i nostri nipoti.

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