Ma chi te lo fa fare di sposarti?

Piccola inchiesta sulla famiglia oggi, in una società che cambia. Il matrimonio è ancora la scelta “normale” per entrare nella vita adulta, quella “generativa”? E come renderlo più solido? Tante domande e qualche possibile risposta

Il grande Alberto Sordi, quando qualcuno gli chiedeva perché non prendesse moglie, rispondeva che non era così   matto da mettersi «una sconosciuta in casa». Altri tempi, in cui i ruoli uomo-donna erano apparentemente più semplici. Oggi è tutto più complicato (più ricco?). Viene messo in discussione anche il fondamento della famiglia, cioè l’amore fedele per tutta la vita (sancito dal matrimonio) proposto dai cristiani come esigenza non solo dei credenti, ma dell’essere umano in quanto tale. Due soli numeri bastano a dare il senso del grande cambiamento sociale in atto: a livello internazionale l’Italia è oggi uno dei Paesi dove ci si sposa di meno e le coppie con figli sono solo il 35% del totale delle famiglie. Comunque, ascoltando alcune giovani coppie, appare chiaro che sia chi si sposa, sia chi convive, sa bene perché: il contesto sociale, infatti, costringe ad una maggiore consapevolezza delle proprie scelte.

 

Una società complessa

La realizzazione personale sembra passata al primo posto, sia per gli uomini che per le donne, mentre i rapporti duraturi sono in calo: non pochi preferiscono emozioni e piaceri, senza legami troppo stretti. Vanno di moda i cosiddetti “poliamori”: «Sto con lui, ma contemporaneamente anche con lei e forse con altri», in un mix di relazioni sentimentali (etero e/o omo) che mutano di frequente. La relazione uomo-donna per vari motivi appare più fragile, al punto che spesso si riduce a conflitto, con separazioni e divorzi “facili”. Dalla rigida separazione di ruoli tra i sessi si passa a un’uguaglianza un po’ appiattita, col rifiuto di ogni differenza. Anzi con la libertà in alcuni casi (gender e queer) di cambiare chi sono ogni giorno, sganciato dall’identità e dal limite che il mio corpo sessuato comporta. Nel frattempo – e questo è sintomo di una grave deriva della conflittualità uomo-donna – i femminicidi continuano, per cui le donne avanzano «in una guerra asprissima», come afferma Luciana Castellina.

 

Modelli

Si direbbe che siamo diventati fragili, insicuri e bisognosi di continue conferme al nostro io traballante. I punti di riferimento a disposizione di un giovane in cerca di modelli sembrano diminuire e indebolirsi, a parte i “mi piace” ricevuti sui social. Latitano il filosofo, il prete, il professore, l’amico o il genitore che ieri indicavano una via semplice e chiara: per non poca gente gli unici testimoni rimasti sono i protagonisti dei film, delle fiction televisive e dei reality show.

Così molte ragazze non riescono a dare alla società il contributo della propria “differenza femminile”, mentre i ragazzi, immersi troppo spesso in una perenne adolescenza, fuggono da responsabilità e impegni duraturi. Il padre  fatica a mostrarsi, e sono pochi i maestri maschi. Col risultato che tanti figli crescono solo con le madri, senza i modelli delle due figure genitoriali. Il capitalismo consumistico, promotore dell’indifferenza sessuale e di un’umanità di plastica, ringrazia.

Qualche numero

Secondo l’Istat, dopo una lunga serie di anni negativi, nel 2015 i matrimoni celebrati in Italia sono cresciuti: è l’aumento più consi- stente dal 2008, forse per l’atte- nuarsi della crisi economica. Ci si sposa in media a 35 anni (uomini) e 32 (donne). Crescono i matrimo- ni celebrati con rito civile, ma sono soprattutto seconde nozze. Ci si separa di solito a 48 anni (uomini) e 45 (donne), dopo 17 anni di vita insieme, con la legge sul “divorzio breve” che quest’anno ha  generato un boom di divorzi. I matrimoni celebrati con rito religioso (in calo) sono molto più solidi di quelli con rito civile: secondo l’Istat l’aumento dell’instabilità coniugale è da riferire soprattutto a questi ultimi. Infine, la dimensione delle famiglie continua a ridursi (quasi una su tre è composta da una sola persona!) e nascono sempre meno figli.
Il desiderio di famiglia

Di fronte a questi cambiamenti sociali, alla “precarietà relazionale”, alla crisi economica, parlare di famiglia “padre-madre-figli”, uniti da un amore fedele sembra anacronistico. Eppure le ricerche sul campo affermano che i giovani continuano a desiderare di metter su famiglia. Con un obiettivo non nuovo: per sempre. Anche il piacere sessuale sembra abbia bisogno di un legame stabile (Massimo Recalcati docet). Vuol dire che la società cambia, ma qualcosa di fondamentale rimane. Spiega il sociologo Gennaro Iorio: «Per ogni persona, il problema esistenziale di fondo è essere riconosciuta nella propria unicità. E il riconoscimento per eccellenza è essere amati. Il paradosso, però, è che chi mi riconosce deve essere un altro molto diverso da me. Mi rendo conto di essere maschio soprattutto quando incontro una femmina, prendo coscienza di essere bianco perché incontro gente di altri colori, così con le fedi. Nel matrimonio avviene questo riconoscimento fondamentale.
Infatti anche chi vive l’esperienza della separazione e del divorzio, poi spesso si risposa».

Esploratori di un mondo nuovo
Dunque ci si sposa (e risposa) per tanti motivi: perché si è sicuri che sia la persona giusta, perché si considera il matrimonio un valore civile, perché si vede  la  bellezza  di famiglie realizzate (genitori o amici), perché si vuole coinvolgere Dio nell’avventura di coppia (se credenti). Con la “volontà” di restare insieme tutta la vita. Ma anche chi decide di convivere ha i suoi motivi: per insofferenza dei legami, per sfiducia nell’amore per sempre, per risparmiare, o semplicemente perché rifiuta un matrimonio che ritiene un atto formale, svuotato di senso. Qualsiasi sia la decisione, però, tutti i ragazzi oggi meritano rispetto, perché vivono sulla loro pelle cambiamenti epocali dentro una società che cambia velocemente. Stanno esplorando, loro malgrado, modalità (vecchie e nuove) di stare insieme e dare senso alla vita di coppia. Meritano quindi di essere accolti senza giudizio e, se lo vogliono, anche accompagnati.

 

Un modello

Un’ultima considerazione riguarda questa nostra strana società, che sembra a volte voler fare a pezzi la famiglia, disarticolarla, dividerne i componenti. Può darsi che nel futuro ci siano solo individui isolati, ma non credo. Piuttosto mi viene in mente il modello evangelico di famiglia che aveva in mente Chiara Lubich: non è partita dalla coppia, prima ha messo in luce la chiamata di ciascuno dei due, lo “stare in piedi da soli”, la risposta personale alla chiamata di Dio (per chi crede), per poi metterli insieme in una famiglia “nuova”. Chissà, forse anche la società sta cercando, faticosamente, il modo giusto per ricomporre la famiglia su basi più solide e più vere.

 

Matrimonio: istruzioni per l’uso

di Daniela Notarfonso (Direttore di consultorio familiare)

Nel consultorio dove lavoro, ogni giorno giungono persone che portano le difficoltà e le sofferenze del matrimonio nella società 2.0: la fragilità del legame familiare, l’aumento della sofferenza psichica, le difficoltà educative, l’isolamento degli adolescenti, la difficoltà dei giovani di svincolarsi dalla famiglia di origine, gli effetti della crisi economica, la problematica integrazione delle famiglie immigrate, le disparità sociali con le difficoltà di accesso ad alcuni servizi essenziali, la condizione femminile vista in tutte le sue sfaccettature. Sono infatti più spesso le donne che per prime chiedono aiuto per la famiglia.
È un quadro a volte sconsolante che mi fa toccare con mano la difficoltà diffusa di comprendere il senso stesso del legame matrimoniale. È per questo che il consiglio che vorrei dare ai giovani è di aspettare a sposarsi, finché non sono sicuri della scelta che stanno compiendo. Le persone, infatti, fanno fatica a credere al matrimonio e quindi scelgono la convivenza, per sposarsi magari quando arrivano i figli, senza aver chiaro, però, cosa significhino impegno e fedeltà per sempre.
Nonostante questo, quasi tutti i giovani sognano di farsi una famiglia, sia quelli cresciuti in un ambiente favorevole, sia quelli che vengono da esperienze problematiche. Tutti sentono la nostalgia di un luogo in cui sperimentare amore, accoglienza e cura reciproca, ma è come se non avessero gli strumenti per capire come si fa. È vero che nella vita si impara facendo, ma bisognerebbe avere davanti buoni esempi di famiglie realizzate. Tante coppie cristiane in questo hanno una grande responsabilità, perché fanno fatica a comunicare la bellezza del legame familiare che pure vivono.
Per costruire una famiglia capace di resistere alle intemperie della vita ci sono dei consigli da dare: primo, prendere tempo per conoscersi e scoprire i desideri dell’altro, le sue idee sulla vita, i suoi valori, i progetti comuni. Comunicazione e ascolto sono quasi più importanti dell’intesa sessuale; questa, infatti, è un aspetto indispensabile del vincolo matrimoniale, ma se è l’unica modalità comunicativa e l’unico canale per dirsi l’affetto, può rischiare di prendersi tutta la scena del rapporto, coprendo le diversità che prima o poi vengono fuori, magari dopo sposati quando c’è una scelta importante da fare, come mettere al mondo un figlio: se non si riesce a
mediare, si entra in crisi.
Secondo, soprattutto per lei, non giustificare mai nessun atto di violenza da parte di lui. Terzo: seguire le proprie inclinazioni, desideri e competenze professionali. La maternità può chiedere di mettere temporaneamente da parte la professione, bisogna averla però, per non vivere questo momento come un ripiego o fonte di frustrazione. Maternità e realizzazione professionale non sono alternative. All’uomo, oltre a dire che la violenza non è mai giustificabile, chiederei una maggiore condivisione nell’accudimento dei figli e nella gestione della casa: vivere alla pari le incombenze casalinghe e la genitorialità non rende meno uomini. Ad entrambi direi che è importante mantenere spazi autonomi di vita, quelli che per ognuno sono importanti (lo sport, le amiche, gli impegni sociali), ma con equilibrio, senza che ne abbia a soffrire la vita a due che deve essere piena, in una condivisione di vita familiare e affettiva quotidiana, ma anche di idee, passioni, letture, film, musica, che arricchiscono il rapporto. Così come l’impegno comune nel sociale, nel volontariato, nelle realtà ecclesiali, che rendono la famiglia protagonista della costruzione di una società più umana e quindi più ricca.

 

Noi ci sposiamo

Francesco

Abbiamo entrambi 32 anni, stiamo insieme da 6 e conviviamo da 3. Siamo non credenti, abbiamo una casa nostra (con mutuo) e niente figli. Quando, dopo 3 anni di fidanzamento, decidemmo di convivere, era perché ci sembrava naturale vivere in un nostro spazio di intimità, ma l’intenzione di sposarci c’era da subito. Ora ci sposiamo perché piace ad entrambi l’idea di ufficializzare il nostro stare insieme, prendendoci un impegno maggiore, tra noi e di fronte a tutti. Io credo nell’istituzione civile del matrimonio, è una forma di impegno che ha un senso in questa società frivola.

 

Enrica

Ho 30 anni, sono sposata da 2, dopo essere stata fidanzata per 6. Abbiamo un bambino. Il matrimonio è bello, da tutti i punti di vista. Da fidanzati è importante mettere le basi, però da sposati è un’altra cosa: se scegli la persona giusta ti senti pienamente realizzata, lui ti rende felice. Prima facevamo le cose insieme, ma come su due strade parallele, adesso percorriamo la stessa strada, se una inciampa l’altro l’aiuta. Abbiamo deciso di sposarci e non di convivere, perché non è sufficiente la vita insieme per conoscere l’altro, e soprattutto perché nella convivenza non ti sei donato completamente, sei libero in qualsiasi momento di dire ciao. È come se dicessi: ti voglio bene, ma non mi impegno più di tanto. Conosci l’altro più dal punto di vista umano, fisico, che totalmente, come persona. Invece nel matrimonio quella persona l’hai scelta, non ci stai provando, ti sei impegnato con dono totale e unico, e viceversa. Nel matrimonio investi tutto, potrebbe andare male, ma parti dal presupposto che vuoi donare la tua vita e viverla con quell’altra persona. Poi nel matrimonio cristiano c’è anche la grazia che viene da Dio.

 

Andrea

L’esperienza dei miei genitori mi ha portato a considerare il matrimonio positivamente. I colleghi ti dicono tutte cose negative, la maggior parte sono divorziati, ma tu devi essere un po’ idealista, sai che si può fare, si possono creare bei rapporti, mettere tutto in comune con lei, cercare di recuperare quando crei astio, avere un figlio, comprare casa. Abbiamo sperimentato che è possibile avere un rapporto di famiglia sereno. Io sono infermiere e vedendo la gente che sta male, gli anziani in fin di vita, apprezzo tantissimo quando c’è la famiglia che gli sta vicino. Vedo invece quanto è triste quando si trovano soli: anche se magari hanno fatto un lavoro importante o hanno avuto una vita famosa, poi si ritrovano senza nessuno intorno. Vorrei morire con la mia famiglia intorno.

 

Noi conviviamo

Andrea

Convivo da 12 anni e ho una bambina di 4. Sinceramente non ho mai sentito l’esigenza del matrimonio. Ho sempre vissuto di sensazioni e avvertivo più la necessità di avere un figlio che di sposarmi. Prendersi delle responsabilità non dipende dalla firma su un foglio. La nostra è come se fosse una coppia sposata, con tutti i doveri e qualche diritto in meno. Nel mio cuore credo all’amore eterno, ma poi ogni strada ha le sue curve. Comunque non ho bisogno di riconoscimenti pubblici: lo stare insieme è una cosa talmente personale che non devo condividerla con nessuno, se non con chi mi sta a fianco. Non mi serve la firma in comune o la cerimonia in chiesa. I miei genitori sono sposati da 50 anni, quindi conosco bene gli obblighi, la bellezza, i pro e i contro del matrimonio. Cerco di fare le stesse cose, ma senza la firma ufficiale.

 

Dolores

Quando ci siamo messi insieme col mio compagno avevo l’idea del matrimonio, perché vedevo i miei genitori sempre innamorati e quindi pensavo che un giorno l’avrei fatto anch’io. Avevo l’idea della festa, della condivisione con gli amici e con i parenti. Poi è passato il tempo e non l’abbiamo fatto. Oggi mi rendo conto che sposarmi non cambierebbe nel concreto la nostra vita, non aggiungerebbe nulla. Le responsabilità sarebbero le stesse: forse da fuori sembra che convivere sia una specie di scappatoia per andarsene facilmente se uno si stufa. La realtà è diversa: quello che costruisci negli anni ha un peso, non è che da un giorno all’altro ti saluti. E poi la stessa cosa può succedere anche nel matrimonio. Non credo che uno arrivi a cuor leggero a separarsi, in entrambi i casi. D’altra parte, se non sei più felice ti separi, sia che sei sposato che no. Non si può vivere da infelici.

 

L’importanza di un progetto comune

intervista a Giuseppe Milan

Nonostante le ferite della separazione, lei si è risposato, perché?
Continuavo a sentire la spinta a costruire un patto di relazione e di progetto con una lei. Allo stesso tempo sperimentavo la fragilità del vivere da solo. Ho poi conosciuto una persona di grande equilibrio e spessore umano, di cui mi sono innamorato. Era un tipo di relazione nuovo per me, tra persone che avevano entrambe sperimentato un forte dolore.

Cosa direbbe a due giovani che vogliono sposarsi?
Non dovete avere la stessa fede o idee, ma certi valori relazionali come accettazione dell’altro, condivisione, capacità di mettersi in discussione, sono essenziali. Poi: progettate insieme, rinfrescate continuamente, nel quotidiano, il vostro progetto. Infine trovate una famiglia degna di fiducia e credibile che vi accompagni, che vi aiuti a capire cosa significa un patto per sempre, soprattutto nei momenti difficili.

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