Ma chi era davvero Jackie?

In uscita il 16 febbraio il film che ricostruisce la vita della moglie di John Kennedy ad una settimana dall'omicidio del presidente

La domanda non è ovvia, ma necessaria. Soprattutto dopo aver visto il film di Pablo Larrain – in uscita il 16 febbraio – che la riguarda e la racconta una settimana dopo l’assassinio del presidente Kennedy, suo marito. Il cinema si è già interessato a John Kennedy, da JFK – Un caso ancora aperto di Oliver Stone, a Thirteen Days di Roger Donaldson a Parkland di Peter Landesman, del 2013: la morte del  presidente è un caso non ancora risolto e forse non si svelerà mai. Troppi intrecci, troppe verità nascoste. Del resto lei, Jacqueline, nel film di Larrain  fa degli accenni – «sempre i vostri segreti tra te e Bob» si infuria ad un certo punto;  «è stato Bob a farmi incattivire contro Castro»,  le dice John. «Ogni tanto lui andava nel deserto dove si lasciava tentare», ammette  lei,  svelando le avventure extraconiugali del marito, queste sì ben note.

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Eppure lei, nella finzione dell’intervista concessa ad un giornalista non amico, è decisa. Vuole salvare il mito di John, anzi crearlo. Perciò il funerale deve essere uno spettacolo grandioso, che verrà ricordato in futuro, e lei un barlume che brilla, almeno per un attimo. Piange e poi si risolleva durante l’intervista, ma ci sfugge quanto ci sia di sincero e quanto sia la scena di una attrice che ha voluto essere un barlume nella storia, però esserci.

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Così sfilano i flashback dell’omicidio – perfettamente  ricostruito –, il funerale, l’ansia per il futuro, l’amore per i figli, la vicinanza di Bob, la distanza e la rivalità con Johnson, il successore di Kennedy. È un romanzo di sentimenti, di ricordi che  dà valore ad una ricostruzione della psicologia di una donna che tuttavia pare giocare a nascondersi e a svelarsi  in modo sfuggente e col sospetto di essere calcolato.

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Solo quando si trova con i figli, il piccolo John John a cui deve dire la verità della morte del padre, o quando incontra un vecchio prete (l’ultima interpretazione del  grande John Hurt da poco scomparso), a cui chiede irritata il  perché della morte del marito (e lui le risponde con tatto e verità),  la donna esce allo scoperto e non recita nel ruolo della first lady.

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Come in ogni film biografico che si rispetti, anche in questo di Larrain  sceneggiatura e fotografia sono curatissime  e la performance di Natalie Portman è degna di un Oscar. Il motivo sta forse nel fatto che l’attrice non si  è lasciata ingabbiare dal “personaggio” storico così determinato, ma ha lasciato a noi (e a sé?) la fondamentale ambiguità di una donna che ha voluto essere e non essere, apparire e scomparire, sempre  “tenendo la scena”.

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Chi era davvero allora Jackie (la quale poi si è rifatta una vita sposando Onassis)? Natalie Portman tenta di dircelo trasmettendoci nei frequenti  primi piani  le espressioni  appena percettibili di un dolore grande, forse il più grande: quello di essere “un oggetto  di lusso” in mani più grandi di lei e quindi costretta ad una immensa solitudine. Recitare sopra un palcoscenico tutta la vita, lottare per creare un mito, non sempre dà la felicità. E Larrain forse riesce a dircelo con la sua regia misurata, capace di alternare brividi a riflessione, senza  darlo troppo a vedere.

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