Ma chi è don Ciotti?
«Ciotti, Ciotti, putissimo pure ammazzarlo». Queste parole risultano da un’intercettazione fatta nel carcere di Opera dagli inquirenti palermitani che lavoravano all’inchiesta sulla presunta trattativa Stato-mafia. Erano dette da Totò Riina ad Alberto Lorusso, la cosiddetta “badante” dell’indiscusso boss di Cosa Nostra.
Ma chi è questo Ciotti che Riina voleva morto? Pio Luigi Ciotti è nato a Pieve di Cadore nel 1945. Il suo cognome risale al medioevo, quando in quelle terre del bellunese bazzicava una compagnia di mercenari privi di anagrafe, che i locali chiamavano «ehi tu», in dialetto locale «ciò ti», da cui venne «Ciotti». Cognome tipico della zona. Come non dimenticare Sandro Ciotti, il giornalista sportivo dall’inconfondibile voce roca? Pio Luigi Ciotti, chiamato Luigi o Gigi, ha cinque anni quando la sua famiglia si trasferisce a Torino. Suo padre trova lavoro come manovale nel cantiere in cui si sta costruendo la nuova struttura del Politecnico. La famiglia trova sistemazione nelle baracche che alloggiano gli operai. Fin da giovane Luigi si sente spinto a occuparsi degli ultimi.
A vent’anni fonda il gruppo “Gioventù”, per dedicarsi ai disadattati e ai tossicodipendenti che incontra per strada. È il primo embrione dal quale nel 1974 nascerà poi il “Gruppo Abele”. Il cui programma sta già nel nome. «Nella Bibbia – spiega Luigi Ciotti – Abele è debole e incapace di resistere a chi alza la mano contro di lui. Dio rivolge a Caino la domanda: “Dov’è tuo fratello?”. E come risposta ottiene un interrogativo: “Sono forse io il custode di mio fratello?”. Il Gruppo Abele sceglie di stare dentro questa domanda, per assumersi la responsabilità di ogni altro, inteso come fratello».
Il giovane Luigi Ciotti si sente in grande sintonia con quella Torino che è ormai diventata casa sua, la città in cui hanno operato i santi sociali: Don Bosco, Cafasso, Allamano, Cottolengo, Giulia di Barolo. Sente la chiamata al sacerdozio. «Vocazione – spiega – più che scegliere è essere scelti, strumenti di un disegno nel quale riconosciamo la nostra essenza». È ordinato sacerdote nel 1972 da quel geniale Cardinale Michele Pellegrino che capisce al volo la stoffa del giovane prete. E gli affida una parrocchia sui generis: la strada. Quel luogo dove «Terra e Cielo spesso s’incontrano e si abbracciano», per usare le parole di don Ciotti, quel luogo dove s’incontrano le domande e i bisogni più profondi della gente, come sottolineava Pellegrino.
Dopo le stragi di Capaci e di via D’Amelio, in cui furono ammazzati dalla mafia i giudici Falcone e Borsellino, don Ciotti fonda “Libera”, un’associazione impegnata contro la criminalità organizzata e la corruzione. La figura di don Ciotti diventa col tempo un punto di riferimento nella lotta alla mafia e alle organizzazioni criminali, un punto di riferimento per la legalità, i diritti umani, la giustizia sociale. Uno degli obiettivi principali di Libera è il recupero delle terre e dei beni confiscati alle mafie, trasformandoli in risorse utili per le comunità.
Nonostante le minacce e le difficoltà incontrate nel corso degli anni, don Ciotti ha continuato a portare avanti la sua missione con coraggio. La sua voce è un faro per i tanti che cercano di contrastare l’illegalità e di promuovere una società più giusta e libera. Il motore della sua attività è sempre stato il Vangelo, che per sua natura è incompatibile con il crimine e le ingiustizie.
Una coppia di amici che ha vissuto come volontari in una delle prime comunità fondate da don Ciotti, a Rivalta, nei pressi di Torino, mi confida: «Per noi don Luigi è stato uno stimolo a uscire da noi stessi, dai luoghi comuni del lieto vivere, per essere al servizio del prossimo. Don Luigi è un amico e un fratello che continua ad aiutarci a lottare per la giustizia e la trasparenza dei rapporti».