L’urgenza educativa di don Giussani

Intervista a Davide Prosperi, a 10 anni dalla scomparsa del fondatore di Comunione e Liberazione. Bilancio e prospettive future a 60 anni dall’inizio del Movimento
Don Giussani

Davide Prosperi, professore di biochimica e ricercatore di nanotecnologie applicate alla medicina a Milano Bicocca, è da tre anni vice presidente di Fraternità di Comunione e Liberazione. A lui rivolgiamo alcune domande sulla figura e il messaggio di don Giussani a 10 anni dalla scomparsa

Sabato 7 Marzo Comunione e Liberazione ha incontrato il papa in Piazza San Pietro…

«Abbiamo chiesto a Papa Francesco questo incontro in occasione dei 10 anni dalla nascita al cielo di don Giussani e per i 60 dall’inizio del Movimento. Ma per gli oltre 80 mila appartenenti a Cl sopraggiunti da 47 Paesi non si è trattato semplicemente di una commemorazione. Come ha ricordato don Julián Carrón, presidente della Fraternità, in piazza san Pietro abbiamo vissuto di nuovo l’esperienza dell’incontro con Cristo. Lo abbiamo visto primerear attraverso la persona e lo sguardo di papa Francesco. Attraverso il modo in cui il Papa ci ha abbracciati, centrando tutta la sua preoccupazione di padre nella persona di Cristo, abbiamo sperimentato che cos’è la carezza della misericordia di Gesù».

A dieci anni dalla sua scomparsa si ha l'impressione che don Giussani sia più conosciuto oggi di quando sia stato in vita

«Anche in vita aveva avuto un impatto su tutta la società italiana. Man mano, però, che vengono pubblicati i suoi testi e le sue interviste nasce l’interesse anche in tanti che non ne avevano conoscenza. La figura di Don Giussani è approfondita sia dai libri, sia dall’incontro con le persone del movimento che lo avevano conosciuto».

L'impatto di Cl con la società è sempre stato controcorrente. Ha spesso polarizzato le posizioni?

«Don Giussani è sempre stato, per l’opinione pubblica, controverso. C’è chi l’ha molto amato, chi l’ha osteggiato, chi ne ha riconosciuto il valore, chi ha avuto posizioni antitetiche. Era una persona sempre all'attacco. Poneva giudizi originali che toccavano i nervi scoperti della cultura del nostro tempo. Giudizi che non lasciavano mai indifferenti».

Se dovesse definire il carisma donato da Dio a don Giussani?

«Cl ha sempre operato negli ambienti dove vivono le persone, dove si forma la mentalità, perché il centro è stato sempre l’educazione delle persone alla fede. Non c’è aspetto dell’esperienza umana che possa a priori rimanere fuori dall’interesse educativo. Quello che mi ha colpito è la persuasività della comunicazione dell’esperienza cristiana. Un anno prima di morire don Giussani scrisse a Giovanni Paolo II che aveva sentito “l'urgenza di proclamare la necessità di ritornare agli aspetti elementari del cristianesimo, vale a dire la passione del fatto cristiano come tale nei suoi elementi originari”».

Qual è il fulcro della sua proposta?

«Vivere l’interezza delle dimensioni della vita umana. I gesti fondamentali riguardano: cultura, carità e missione. Siamo educati attraverso le “scuole di comunità” dove studiamo dei libri di Giussani, a volte testi dei papi o testi fondamentali della fede. Alla carità siamo educati attraverso dei gesti comunitari di aiuto a opere caritative in cui si dona gratuitamente il proprio tempo per imparare ad amare. La missione è cominciata perché alcune persone di Cl si sono trasferite, per motivi familiari o lavorativi, all’estero. Come sovrabbondanza di una bellezza di un’esperienza vissuta, il movimento ha iniziato a diffondersi anche in altri Paesi e culture. E la nostra esperienza è autentica quando aiuta a inserirsi nella Chiesa universale».

Com’era don Giussani visto da vicino?

«L’ho conosciuto personalmente negli anni Novanta. Era un uomo di certezze granitiche, di cemento armato, capace di comunicare la fede nei particolari come risposta alle esigenze del cuore dell'uomo. Il pensiero comune di allora relegava la fede nel privato. In lui la fede diventava un giudizio integrale, ma non integralistico sulla vita. Aveva una grande apertura, con pensieri originali e spiazzanti, e interessi per l’arte e la letteratura. La prima evidente prova di Dio la ebbe ascoltando una romanza di Donizetti. Da ragazzino recitava la poesia Alla sua donna di Leopardi come preghiera dopo la Comunione. Aveva una grande sensibilità umana e quando eri con lui avevi sempre l'impressione che per lui eri la cosa più importante dell'universo, sia che si parlasse di cose personali che del movimento».

A dieci anni dalla sua morte. Come avete vissuto il dopo Giussani?

«Per me è un miracolo che il movimento sia così unito. Credo che questa unità cresca sempre di più anche dopo la morte del fondatore. È un frutto di grazia di tutto quello che abbiamo vissuto con lui e che oggi continua seguendo chi lui ha scelto a succedergli, don Carrón. Ogni persona diventa punto di riferimento del movimento perché c'è la presenza di Gesù in mezzo a noi sperimentabile dentro una novità che può accadere».

In questi anni in cosa è cambiata Cl?

«Cl era già presente in diversi continenti quando c'era don Giussani, ma è diventata più mondiale e ora siamo presenti in 93 Paesi. È una presenza che è cresciuta quantitativamente e qualitativamente. Non è un’organizzazione, abbiamo una struttura leggerissima, ma è un’amicizia che cresce e mantiene dei nessi stretti. Diventa un’esperienza universale».

Ci sono dei principali campi d’azione?

«Sono tutti importati gli ambiti umani. L'unico scopo è l’educazione della persona. Il movimento non è presente come tale nei vari campi d’azione, ma persone educate nella nostra esperienza rischiano la loro responsabilità nei vari ambiti nei quali si sentono di spendere le proprie energie. Il movimento è nato nelle scuole da quando don Giussani è entrato nel Liceo Berchet del 1954. Ma oggi ci sono opere di ogni tipo. Per esempio il Banco alimentare non è di Cl, ma nasce ispirato da don Giussani».

Delle solite critiche: carrierismo, affari, scandali. Qual è che ferisce di più? In cosa si può migliorare?

«Don Carrón in una lettera apparsa su La repubblica scrisse che: “Se il movimento di Comunione e Liberazione è continuamente identificato con l’attrattiva del potere, dei soldi, di stili di vita che nulla hanno a che vedere con quello che abbiamo incontrato, qualche pretesto dobbiamo averlo dato”. È un’autocritica, ma Don Carrón non aveva a cuore di dire che facciamo degli errori come tutti. Questo è nel conto. Chi rischia, in qualsiasi ambito del vivere umano, può sbagliare e poi se ne assume le conseguenze. Quello che ferisce di più è che se uno di Cl fa uno sbaglio, è Cl che sbaglia. Don Carrón intendeva anche dire che la principale “immoralità”, dopo che si è incontrato il segreto della vita con Cristo nell’esperienza del movimento, accade quando si afferma qualsiasi altra cosa come più importante di questo. Si pensa di poter ottenere un bene da qualcosa che è meno di quello che ci è stato promesso: la novità di vita dell’esperienza cristiana. Lì si sbaglia anche se si fanno cose giuste e a fin di bene».

Panoramica su Cl oggi: com’è lo Stato dell'Unione? C’è una riduzione di persone, risorse, idealità?

«Negli anni sono cresciuti le iscrizioni alla Fraternità, come sono cresciute le offerte al fondo comune (offerta che gli aderenti liberamente donano come aiuto alle missioni e alla sussistenza del Movimento), così come la nostra presenza nel mondo, che è aumentata di un terzo negli ultimi dieci anni. È cresciuta anche la nostra presenza di servizio nelle parrocchie e nelle diocesi».

Qual è l’apporto che Cl e i movimenti possono dare oggi alla Chiesa e all’Italia?

«La forza dei movimenti è quello di dar vigore alla Chiesa istituzionale negli ambienti in cui è possibile incontrare chiunque. In questi luoghi della vita umana dove l’esperienza cristiana può essere incontrata come risposta alle esigenze del vivere e non come insieme di valori e di precetti. Come ci ha ricordato il Papa, la strada della Chiesa è uscire per andare a cercare i lontani nelle periferia servire Gesù in ogni persona emarginata, abbandonata, senza fede, delusa dalla Chiesa».

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