L’uomo visto da Francis Bacon

A Chieti fino al primo maggio l’opera grafica del pittore inglese sulla condizione umana
Francis Bacon in mostra a Chieti

La dissoluzione della forma, la sua disintegrazione. Picasso c’era già arrivato. E, prima di lui, geni come Tiziano e Rembrandt. Ma Francis Bacon va ancora più avanti. In una civiltà che non è più civiltà – questa è una delle sue intuizioni più folgoranti – l’uomo è ridotto a carne. Carne che si dissolve, si decompone. Perché è l’anima, rubata dalle violenze, ad essersi polverizzata. Non resta che la carne, allora, a gridare l’urlo di dolore dell’uomo contemporaneo. Vittima ormai di sé stesso. C’era anche arrivato, per altre vie, d’Annunzio con il suo estetismo così estetizzante – ci si perdoni il bisticcio – che in pratica riduceva l’uomo a nulla. Egli lo descriveva amplificando a dismisura il suono della parola fino a farlo vocio indistinto di rumori e di voci confuse.

Bacon, la cui sensibilità per la bellezza è assoluta, compie lo stesso percorso. Inquadra i suoi soggetti dentro ben delimitati confini, e poi vi inscena il tema della carne, della sensazione ridotta all’estremo, a sola pulsione. I corpi, i volti vengono appositamente deformati: sono infatti visti da una lente che ingrandisce il sentimento di orrore, di dolore e di strazio; li deforma, per amplificarne il suono. Forse per non prolungare troppo la sofferenza e farla così scoppiare in faccia all’osservatore? Opere come La logique de la sensation, 1981, o Studies of human body del 1980 sembrano proprio affermare questo.

Bacon  è di una intelligenza costruttiva rara, si sente lo studio dei grandi maestri, nell’impaginazione prospettica precisa, nella delimitazione di spazi così attenti da risentire quasi di un Piero della Francesca, per non dire del plasticismo che ricorda Michelangelo.

Ma la sensibilità è diversa, se non opposta. L’occhio di Bacon guarda all’uomo e alle cose non dallo sguardo della “costruzione”, ma da quello della “de-costruzione”, meglio da quello dello schiacciamento di tutto e di tutti. Dell’uomo, in definitiva.

L’amarezza profonda che emana dalle sue opere colpisce al cuore. I Tre studi per un autoritratto del 1981 trapelano angoscia ed egli vuole che essa fuoriesca dall’opera, ci invada con l’occhio scuro di chi soffre e non sa spiegarsi il perché.

Questa è infatti la domanda sottesa a tutta l’arte di Bacon. Le sue forme contorte, schiacciate, caricaturali anche dei temi del passato – i papi di Velàsquez ad esempio – in realtà sono coniugazioni variegate di una domanda che non trova risposta.

Nel Trittico della tauromachia – soggetto antichissimo, ripreso anche da Picasso – il vortice di questa danza di morte, di questa lotta per la vita appare una possibile risposta al “perché” della miseria umana così immensa, per Bacon.

Occorre cioè lottare, ridursi a sangue, a poltiglia per poter capire cosa sia la vita. Ossia, è il tema del sacrificio, dell’essersi ridotti a sola carne priva anche dello spirito per poter continuare ad “essere”. Una sorta di resurrezione materica e laica. Ma, pure, desiderio di resurrezione. Gli ultimi studi di un autoritratto del 1990, specie quello centrale, vedono un volto assorto, più pacato. Bacon ha trovato alla fine la pace?

Palazzo de Mayo (catalogo Allemandi)

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