L’uomo più crudele del mondo, un thriller psicologico tra vittima e carnefice
Cosa ha spinto due uomini diversissimi per indole, professione, moralità, a incontrarsi, scontrarsi, rivelarsi a vicenda, prima riottosi, poi sempre più complici, quindi di nuovo diffidenti e, ancora, acconsenzienti alla posta in palio messa sul tavolo? Ce lo rivelerà la sequenza finale, improvvisa e inaspettata, che arriva come un autentico pugno allo stomaco. Scena che, naturalmente, non va svelata. Spiega il perché di quanto è accaduto fino a quel momento. Avremo assistito ad un match verbale, ma a tratti anche fisico, a un gioco di potere tra il più forte e il più debole, tra vittima e carnefice, senza esclusione di colpi, con ribaltamento di ruoli dal quale ci si aspetterebbe un vincitore e un vinto. Forse non ci sono né l’uno né l’altro. Nel frattempo si saranno esplorati i lati oscuri di ciascuno, quelli sottesi, sconosciuti, nascosti, taciuti, difficili da riconoscere e da affrontare se non sollecitati da qualcuno o da qualcosa che li faccia emergere, con cui confrontarsi e fare i conti. Lo spettacolo L’uomo più crudele del mondo, testo del talentuoso Davide Sacco, giovane autore tra i più interessanti della drammaturgia contemporanea, prova a indagare i labirinti malsani della mente, il confine tra il bene e il male, spingendo a una profonda riflessione sulla natura umana. «Fino a dove può spingersi la crudeltà dell’uomo? Qual è il limite che separa una brava persona da una bestia? A cosa possiamo arrivare se lasciamo prevalere l’istinto sulla ragione?», sono le domande che hanno mosso la scrittura di Sacco.
A dare voce a tutto questo sono Lino Guanciale e Francesco Montanari, interpreti per i quali il testo sembrerebbe essere stato scritto, calzante com’è sulle loro forti personalità attoriali. Guanciale è Paul Veres, proprietario della più importante azienda di armi d’Europa, e denominato “l’uomo più crudele del mondo”. Noto per essere un uomo senza scrupoli, spietato e privo di valori – così sembra –, della cui vita si sa quasi nulla, si pone nei confronti dell’altro personaggio come un diavolo ammaliatore, un adescatore di anime; Montanari è un giornalista di un piccolo quotidiano di provincia, una persona perbene – così sembra – che si definisce normale, mite. L’incontro di quest’ultimo con l’importante e riservato imprenditore, che lo sceglie per una delle rare interviste che concede, gli offre la grande opportunità di dare una svolta alla sua vita. Presto però sarà chiaro che ben altro è il motivo di quell’incontro pianificato dall’uomo d’affari.
Quali nefandezze si è disposti a compiere per soldi? Sarà una sfida oltre ogni etica, un gioco malvagio, perverso, scatenato attraverso una proposta immorale che cambierà le loro vite. «Lei ucciderebbe l’uomo più crudele del mondo per un miliardo?», propone Veres a bruciapelo. «…Prima di domani mattina lei sarà morto – dice al giornalista –, ma io farò tutto perché prima di ciò sia lei ad uccidere me… Domani ci sarà un solo uomo tra me e lei. Un uomo diverso, forse migliore, forse peggiore, che si guarderà allo specchio e sarà sicuramente più cosciente di che cosa sia il dolore». Il dialogo incalzante, animato sempre più dal bere e dal fumare, avrà anche acceso, prima ancora della proposta omicida e del suo perché, provocatorie domande esistenziali come: «…lei che si conosce, mi dica, è felice della sua vita?», o «Cosa ne pensa dell’umanità? …parola strana, piena di paradossi, di contraddizioni, forse l’unica parola del nostro vocabolario che ha un significato diverso per ogni singolo uomo»; e provocazioni: «Le è mai capitato di dare sfogo a istinti sopiti?».
Tutto il marcio, l’inconfessabile e l’indescrivibile che scaturiscono dalla tesa conversazione tra i due avversari di un ring che non prevede limiti nel colpire l’altro, sveleranno anche il dolore nascosto, la rabbia, la natura repressa, il bisogno di riscatto, di liberazione da un nodo che attanaglia l’anima e che sentiamo serpeggiare nel confronto-scontro tra queste due anime dannate e in pena.
L’azione si svolge dentro l’ufficio dell’azienda che la scenografia colloca tra le ampie vetrate di un capannone, con un tavolo, due poltrone, e alcune grandi lampade basse il cui raggio immerge i due protagonisti in una costante penombra. Tra squarci intermittenti di luci e improvvisi colpi di pistola, un tentativo di fuga e un ballo incontrollato dettato da ubriachezza, arriverà il finale a ribaltare le sorti dei protagonisti. Chi ucciderà chi? Il grumo di tensione e di mistero accumulatosi si riverbererà in un finale spiazzante che non assolverà nessuno dei due. O forse sì. Avvincente come un thriller psicologico dove si cerca di attaccare la mente dell’altro e demolirne il suo stato, L’uomo più crudele del mondo è un’inquietante riflessione sul senso della giustizia e della morale, potente nella scrittura e nella resa interpretativa di Guanciale e Montanari: il primo di bravura camaleontica, dalla cangiante e multipla personalità; il secondo dalla sobria razionalità e voglia di penetrare il muro di parole dell’avventore.
“L’uomo più crudele del mondo”, di Davide Sacco. A Roma, Teatro Ambra Jovinelli, fino all’11 dicembre.
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