L’uomo dei sogni raggiunti
Fine febbraio del 2003. Nell’ospedale francese di Hanoi viene ricoverato un uomo d’affari americano affetto da una misteriosa malattia respiratoria. Richiesto di una consulenza, l’infettivologo italiano Carlo Urbani, lì in missione con i suoi familiari, mette in atto una serie di precauzioni assolutamente insolite per un ospedale vietnamita. La percezione di una malattia nuova e devastante si coglie da questa sua confidenza ad un collega: Ho un ospedale pieno di infermiere che piangono. La gente corre e urla ed è totalmente terrorizzata. Non sappiamo che cos’è, ma non è influenza. Di fronte all’invito alla prudenza di sua moglie Giuliana, Carlo replica: Se non posso lavorare in queste situazioni, per quale ragione sono qui? Per rispondere a e-mail, andare a cocktail party e mandare avanti scartoffie?. E ribadisce: Non dobbiamo essere egoisti, io devo pensare agli altri. All’inizio di marzo si reca a Bangkok per un convegno, dove si manifestano i primi sintomi del terribile morbo conosciuto poi sotto il nome di polmonite atipica o Sars (Severe acute respiratory syndrome). Da medico che non può ingannarsi, spinge la moglie a tornare in Italia insieme ai figli. Ma Giuliana, messi su un aereo i ragazzi, resta al suo fianco. Ogni tentativo di cura si rivela inutile. Prima di scivolare nell’incoscienza dell’agonia, Carlo capisce esattamente la sua condizione e confessa di aver paura; sempre però continua a infondere coraggio alla moglie. Visibile solo attraverso doppi vetri, vive lo strazio di morire isolato da tutti. Con l’assistenza spirituale di un sacerdote, si spegne il 29 marzo 2003 a soli 47 anni. Ma la sua azione rapida, decisa e competente è valsa a stroncare il primo focolaio di infezione di Sars in Vietnam, evitando la strage che avverrà altrove. La morte sul campo di questo medico marchigiano membro dell’associazione Medici senza frontiere, che per primo ha individuato il virus letale, porta di colpo alla ribalta – in un momento in cui tutto il mondo ha gli occhi puntati sull’Iraq – una figura-simbolo, di quelle che onorano l’umanità. In seguito Carlo Urbani varrà insignito delle due massime onorificenze del governo vietnamita: le medaglie dell’Amicizia e della Salute del Popolo. Non lontano da Hanoi esiste oggi un ospedale per i più poveri che porta il suo nome, mentre a Taiwan il Ministero della sanità locale ha intitolato a lui una fondazione. In Italia la rivista Missioni Consolata, per la quale aveva scritto dei reportage, ha istituito il Premio giornalistico dottor Carlo Urbani riservato ai medici: consiste in due stages lavorativi di un mese presso un ospedale del missionari della Consolata in Africa o un laboratorio di sanità pubblica a Zanzibar. Oggi l’Aicu (Associazione italiana Carlo Urbani) ne continua l’impegno, specialmente per quel che riguarda l’accesso alle cure mediche per le popolazioni più disagiate. Questi ed altri riconoscimenti a sottolineare la personalità di uno che volava alto: e non solo per via della sua passione per il deltaplano. Carlo Urbani volava alto, in solitudine, come per contemplare ed abbracciare il mondo intero, con una predilezione per il prossimo più sofferente. Ciò che colpiva più di tutto in lui era la disponibilità instancabile. Carlo era di tutti: così lo ricorda la madre. Una volta (era ancora a Macerata), per un caso particolare di Aids, ha percorso quasi cinquecento chilometri in auto per recuperare a Pavia un vetrino ritenuto utile. Dopo di che è ritornato in sede, dove ha subito ripreso la sua attività in ospedale. È stato paragonato ad una quercia frondosa per le sue radici profonde. La prima di queste radici era senz’altro la sua fede, alimentata dall’inserimento in una comunità parrocchiale, quella di Castelplanio, con cui anche a distanza aveva sempre mantenuto i contatti. Per lui la famiglia era tutto, ma sapeva distaccarsene se ciò era richiesto dalla sua missione di medico. Nel difficile equilibrio di essere marito e padre esemplare, e al tempo stesso tutto per i suoi malati, è riuscito a coinvolgere moglie e figli nelle sue scelte. Non è stato facile, ci sono state anche incomprensioni, ma ogni strappo verso l’apertura e il servizio agli altri ha registrato un ritorno come crescita umana e spirituale dei suoi, che oggi gliene sono grati. Il figlio Tommaso (che vuole diventare medico) lo ricorda così: Riusciva sempre a fare tutto e bene. Mi ha insegnato moltissimo. Sulla sua tomba spiccano queste parole, tratte da una sua lettera del 23 giugno 2002: Sono cresciuto inseguendo il miraggio di incarnare i sogni e ora credo di esserci riuscito. Ho fatto dei sogni la mia vita e il mio lavoro. Anni di sacrifici mi permettono oggi di vivere vicino ai problemi, a quei problemi che mi hanno interessato e turbato. Quei problemi che oggi sono anche i miei, in quanto la loro soluzione costituisce la sfida quotidiana che devo accettare. Ma il sogno di distribuire accesso alla salute ai segmenti più sfavoriti delle popolazioni è diventato oggi il mio lavoro. E in questi problemi crescerò i miei figli, sperando di vederli consapevoli dei grandi orizzonti che li circondano, e magari vederli crescere inseguendo sogni apparentemente irraggiungibili come ho fatto io. UATTRO LIBRI PER CONOSCERLO MEGLIO Solo adesso, grazie ad alcune pubblicazioni uscite ad un anno di distanza dalla sua morte, abbiamo a disposizione un ritratto a tutto tondo di questo silenzioso eroe del quotidiano così amante della vita da averla saputa donare: Carlo Urbani, Le malattie dimenticate, Feltrinelli, pp.196, 12,00. Un medico in prima linea, lontano dai riflettori del media, attraverso i suoi scritti, lettere e riflessioni. Un libro di coinvolgente umanità, non privo di un afflato poetico. Lucia Bellaspiga, Carlo Urbani. Il primo medico contro la Sars, Ancora, pp. 176, 12,00. Reportage ricco di testimonianze e lettere inedite, con una Presentazione di Kofi A.Annan. Pierluigi Fiorini, Carlo Urbani. Inseguendo un sogno, San Paolo, pp. 102, 7,00. Agile profilo biografico indirizzato in particolare ai giovani. Jenner Meletti, Il medico del mondo. Vita e morte di Carlo Urbani, Il Saggiatore, pp 190, 16,00. La battaglia di un uomo per il diritto ai farmaci e alle cure anche dei più poveri, nel racconto di chi gli è stato più vicino. Prefazione di Romano Prodi. UNA VITA PER GLI ALTRI Carlo Urbani nasce nel 1956 a Castelplanio, piccolo paese in provincia di Ancona. Figlio di due insegnanti (la madre è stata anche sindaco del paese), cresce altruista, preoccupato della sorte dei meno fortunati, e con un vivo senso della giustizia. Suoi modelli sono Follereau, Schweitzer, l’Abbé Pierre, ma anche Gandhi. Determinato e scanzonato come temperamento, è attratto da tutto ciò che è bello (la musica, l’arte, lo sport…) e al tempo stesso si dedica al volontariato. Conseguita la laurea in medicina nel 1981, si specializza in malattie infettive e tropicali. Lavora come medico di base e poi nel reparto di malattie infettive dell’ospedale di Macerata per circa dieci anni. Nel suo curriculum c’è anche un’esperienza nell’amministrazione della sua cittadina. Nel 1983 sposa Giuliana Chiorrini, da cui avrà tre figli:Tommaso, Luca e Maddalena. Il viaggio di nozze lo porta in quell’Africa dove tornerà più volte per scopi umanitari. Così sensibile ai bisogni del Terzo mondo da rinunciare a una carriera in ospedale, impiega le vacanze estive in missioni mediche in Africa Centrale e Mauritania nell’ambito dei progetti dell’Organizzazione mondiale della sanità, di cui è consulente dal 1993. Nel 1996 entra a far parte dei Medici senza frontiere, professionisti che imperniano il loro intervento sulla prossimità a chi soffre (e di ciò Urbani sarà maestro).Avuto un incarico per la Cambogia, parte con la famiglia per questo che è il paese più straziato del Sud-Est asiatico, dove si dedica ai bambini affetti da una malattia parassitaria intestinale e si batte per l’accesso dei più indigenti ai farmaci essenziali. Nell’aprile del 1999 viene eletto presidente di Msf Italia.Viaggia molto: Cina, Thailandia, Laos, Cambogia, Filippine… con puntate in Europa per riunioni a Ginevra o a Bruxelles. Nello stesso anno ritira il premio Nobel per la pace assegnato a Medici senza frontiere. In Cambogia ritornerà insieme ai suoi, convinto che una vera solidarietà può essere testimoniata solo con il trasferimento dell’intera famiglia che condivide in tutto e per tutto la vita della gente del posto. È il 2000. Il suo impegno lo porta – sempre insieme ai familiari – anche nell’amato Vietnam, dove non si tirerà indietro nell’ultima battaglia.