L’uomo che cavalcava nel buio

È lo stesso che parlava con le aquile e che un tempo risolveva gialli vestendo la tonaca di don Matteo. Cambia il ruolo, si modifica il contesto, la storia è diversa, ma Terence Hill è sempre lui, il bravo difensore delle cause giuste, il volto pulito di una tivù che edifica e mai distrugge. Una volta, con gli occhi azzurri e il capello biondo, non faceva altro che menare bonari sganassoni in compagnia dell’inseparabile Bud Spencer, alfieri del bene a colpi di pugni e fagioli, saloon e ceffoni da cartone animato. Da un po’ di anni è invece a suo agio nei panni dell’anima candida della televisione italiana, il protagonista di storie positive, rivolte a tutta la famiglia, sempre dalla parte di chi ha più bisogno.

Nell’ultima fiction in due puntate proposta da Raiuno, interpreta il ruolo di Rocco, un uomo innocente, distrutto dal senso di colpa. Addestrava cavalli, uno dei quali, poi risultato dopato, disarcionò e uccise un uomo. Quando, a distanza di anni, torna nella sua scuderia, ad accoglierlo c’è solo ostilità. Ritrova però la voglia di lottare grazie al talento di Serena, figlia dell’uomo della cui morte è stato ingiustamente incolpato. Il film è tutto costruito sul rapporto tra questa adolescente fragile e Terence Hill, il papà-supplente che aiuta la ragazzina a superare le difficoltà credendo in sé stessa, insegnandole il valore della lealtà, del sacrificio, dell’amicizia. L’uomo che cavalcava nel buio è un film con molti limiti, il principale dei quali è la riproposizione di uno stanco canovaccio. Terence Hill è sì un discreto attore, ma, certo non un istrione. E chiedergli di caratterizzare personaggi che sembrano scritti in fotocopia, vuol dire farlo misurare con un’impresa titanica anche per un gigante dell’Actor Studios. Accendendo distrattamente la tv si scambia infatti facilmente questo ultimo Rocco, per un don Matteo casual, come fossero l’identico personaggio.

D’altro canto, a uno che afferma di «scegliere solo film che non offendano nessuno, senza bisogno di ricorrere alla violenza» bisognerebbe fargli subito un monumento. Raccontare il bene è difficile, ma, già provarci, come fa da anni Terence Hill, è un merito.
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