Il potere della condivisione

Michele Tranquilli, giovane tortonese, è l’autore del libro “Una buona idea” nel quale racconta il suo incontro con la Tanzania (grazie al volontariato) e il cambiamento di prospettiva generato da questa esperienza

Tanzania, estate 2006: una scelta insolita per un ragazzo europeo di 17 anni. Michele cosa ti ha spinto in Africa per le vacanze?

Scelta insolita sì, anche se non mi mancava nulla, mi sentivo in qualche modo in gabbia. Cercavo qualcosa di diverso e pensavo che un’esperienza di volontariato fosse la scelta giusta per cambiare la mia vita. C’era un mondo da salvare là fuori e con mia cugina siamo partiti con l’entusiasmo e la presunzione sciocca (e presto smentita) che avremmo salvato il mondo.

Muzungu – uomo bianco in swahili – il diverso, lo straniero, la persona da guardare con sospetto eri tu Michele…

È proprio così. All’inizio sono stato guardato con grande diffidenza. L’uomo bianco è colui che arriva da lontano, ricco, che tende a imporre le sue regole. La prima volta che mi sono messo a lavorare la terra con la zappa, gli uomini del villaggio e i bambini ridevano di gusto, perché mai avevano visto un uomo bianco lavorare con le mani. Il pregiudizio è caduto quando mi sono fatto conoscere. Ho imparato la lingua per avvicinarmi a loro, abbiamo lavorato insieme, mangiato insieme, vissuto insieme. Ho capito che per cambiare le cose, il primo passo è partire da noi stessi.

Nel tuo libro parli spesso di fallimento, una parola scomoda.

Penso che la generazione precedente abbia avuto un brutto rapporto con il fallimento, ora invece è stato sdoganato, viene raccontato e documentato, non per puntare il dito ma perché l’errore narrato può servire all’altro. Quello che è importante è il coraggio di fare delle scelte e di averci provato, anche se poi si sbaglia. Il primo progetto dell’orto in Tanzania è fallito. Potevamo fermarci oppure decidere di non arrenderci e provare un’altra strada. Noi abbiamo optato per la seconda.

Come si trasforma una buona idea in qualcosa di concreto?

La formula, che è anche sulla copertina del libro – “buona idea x condivisione x buona volontà = risultato concreto” – è stata il punto di arrivo, un’astrazione a seguito di quanto avevamo prima vissuto e realizzato. I muri della scuola sono concreti. I rapporti costruiti con le persone anche. È l’esperienza sul campo che ci ha donato la buona idea, non è arrivata dall’alto all’improvviso.

Se non ho soldi, non sono architetto e nemmeno ingegnere, come posso contribuire al progetto?

È quello che mi son detto anch’io quando mi son trovato nel villaggio di Ulete. Mi sentivo inutile. Allora ho scavato dentro di me fino a cercare una capacità o competenza che potesse essere utile a quelle persone e alla fine l’ho trovata: potevo raccontare, condividere la loro storia, fare da megafono e coinvolgere molte persone che potevano dare del tempo, un talento, una competenza per lo stesso obiettivo comune. Ho imparato così che ci sono infiniti modi in cui possiamo renderci utili al prossimo e che anche la nostra capacità più piccola può rivelarsi importante.

 

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