Luoghi per credere

In ricordo di don Vincenzo Chiarle, un prete secondo il Concilio
Don Vincenzo Chiarle

Patrick Michel sottolinea che oggi «la crisi non è credere, ma credere insieme», perché la gente non ha smesso di cercare qualcosa in cui credere, ma non trova luoghi in cui sia possibile farlo. C’è urgenza di una Chiesa “in uscita”, che sappia offrire luoghi di sperimentazione della fede come lievito di trasformazione della società.

Ho pensato a questo quando mi ha raggiunto la notizia della morte per Covid di don Vincenzo Chiarle di Vallo Torinese. Un nome che forse dirà poco a tanti, ma che a chi come me ha maturato la sua scelta di vita negli anni immediatamente seguenti il Vaticano II dice molto. Un giovane prete sfornato alla pastorale in pieno fervore conciliare, acceso dall’Ideale dell’unità e capace di generare una comunità parrocchiale viva e all’altezza dei tempi, in un paesino delle Prealpi piemontesi di qualche centinaio di abitanti: tanto da farne, in poco tempo, l’evangelica piccola città posta sul monte.

Coniugando – con tutti i limiti e i condizionamenti delle cose umane, è ovvio – il rinnovamento della catechesi e della liturgia con l’ospitalità a immigrati ed emarginati insieme all’impegno nel dialogo culturale e nella prassi sociale. E facendo fiorire generazioni di giovani, ora adulti, in prima fila a livello ecclesiale e civile. Tra cui Maria Orsola Bussone che la Chiesa ha dichiarato venerabile, cioè modello da tener presente nel vivere il Vangelo.

La figura di don Vincenzo – come quella di tanti generosi e intelligenti preti di periferia – ci dice con forza di speranza che oggi c’è bisogno di questo perché la fede torni a trovare dei luoghi: stare dentro la storia, aprirsi ai segni dello Spirito, scommettere con fiducia in Dio attraverso Gesù, camminare insieme. Sì, camminare insieme: come amava ripetere padre Pellegrino, il cardinale arcivescovo di Torino che si ritirò in quel paesino che era diventato come una comunità dei primi cristiani nel nostro tempo.

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