L’universo che corre
Sopra le nostre teste, in orbita a 600 chilometri di altezza, gira silenzioso intorno alla Terra uno strano arnese, un vecchio telescopio che da diciotto anni continua a far parlare di sé. Dato più volte per spacciato, è sempre riuscito a risorgere più in forma che mai. Qualche anno fa, per esempio, la Nasa, l’ente spaziale americano, decise di chiudere finalmente la missione, per non dover spendere altri soldi in costose riparazioni: in brevissimo tempo fu sommersa da una straordinaria e inaspettata valanga di proteste, non solo di scienziati, ma soprattutto di gente comune, con echi su tutti i giornali e le tv del mondo, tanto da dover fare una poco gloriosa marcia indietro. I motivi di questa fama e della conseguente lunghissima vita sono probabilmente tre: il primo è che Hubble, così si chiama il telescopio spaziale, ha permesso in pochi anni all’astronomia e all’astrofisica uno straordinario balzo in avanti di conoscenze sull’universo, e non solo. Il secondo motivo è che, evidentemente, è uno strumento fortunato. Per esempio, qualche settimana fa si è guastato l’ennesimo apparato, giusto poco prima che la navetta Atlantis partisse per ripararlo l’ultima volta. Si è quindi fatto in tempo a rinviare la missione, in modo da prepararsi a risolvere anche quest’ultimo problema. Se il pezzo si fosse guastato dopo il lancio, non ci sarebbe stato più niente da fare. Ma il vero motivo per cui Hubble è il più conosciuto e amato strumento della Nasa è legato a quello che fa: mostrare a noi terrestri la bellezza dell’universo. Ogni volta che viene orientato verso una qualsiasi regione del cielo, per quanto lontano fissi la sua attenzione, lascia con il fiato sospeso per la maestosità di quello che trova. C’è poco da dire, la gente è as- setata di bellezza e, visto che oggi non è facile trovarla in giro, non resta che alzare il naso in su per osservare lo spettacolo che l’universo ci offre. Gratis. Stupore e meraviglia. Sono queste le parole che esprimono da sempre le sensazioni che si provano. Con gli strumenti di oggi possiamo spingere lo sguardo fino agli estremi confini dell’universo, ma l’impressione è la stessa che lasciava a bocca aperta i nostri progenitori che di notte osservavano la volta stellata. Universo Anche grazie a Hubble, nell’ultimo secolo la comprensione della natura fisica dell’universo ha fatto passi da gigante. Ancora alla fine dell’Ottocento si pensava che il Sole fosse una specie di grosso mucchio di carbone fiammeggiante e si discuteva se i canali che si intravedono sulla superficie di Marte fossero naturali o scavati dai marziani, per contenere e sfruttare le periodiche inondazioni in arrivo dai poli durante l’estate. Poi, in pochi anni, l’universo si è dilatato incredibilmente, fino a sfidare la nostra capacità di immaginazione e influenzare anche la visione che abbiamo del mondo e di noi stessi. Abbiamo posato il piede sulla Luna, inviato sonde fino a Giove e Saturno, osservando da vicino i pianeti scoperti da Galileo solo 400 anni fa, oltre ad alcune delle comete che periodicamente ci visitano da vicino. Si è scoperta l’energia che fa brillare le stelle, e le modalità del loro nascere e morire. Stelle che sono meravigliose quando splendono in cielo e – come il Sole – ci riscaldano col loro calore, ma ancora più, forse, quando morendo lanciano nello spazio interstellare gli elementi che si sono formati al loro interno attraverso i processi di fusione nucleare. Elementi che sono alla base della vita sviluppatasi sulla Terra e basata sul carbonio. Non è dunque così sbagliato affermare che siamo figli delle stelle. Abbiamo infine scoperto che l’universo è in espansione, e quasi tutte le galassie si allontanano le une dalle altre. Da qualche anno a questa parte, però, l’interesse degli astronomi e dei ricercatori si è acuito di colpo per la scoperta, assolutamente imprevista, che questa espansione tende ad accelerare (vedi riquadro). La cosa ha scatenato un ribollire di studi, ipotesi, idee, proposte di esperimenti e teorie, insomma un momento tra i più frizzanti per gli studiosi di astronomia e astrofisica. Forse siamo alla vigilia di nuove scoperte clamorose nella fisica di base. Futuro Nel frattempo, riflettendo sulle conseguenze di questa accelerazione nell’espansione, gli astronomi hanno ipotizzato alcuni scenari possibili sul destino dell’universo nelle prossime centinaia di miliardi di anni. Se guardiamo il cielo notturno ad occhio nudo, oggi vediamo la sterminata Via lattea popolata di stelle – vecchie o mature come il Sole o appena nate -, e le altre galassie vicine come Andromeda. Usando un telescopio arriviamo ad osservare miliardi di galassie, fino alle più lontane. In un lontano futuro, invece, la scienza prevede che le galassie vicine alla nostra tenderanno ad avvicinarsi sempre di più, fino a fondersi in un unico super ammasso, mentre gli oggetti più lontani – ga-? lassie, nebulose e quasar – tenderanno pian piano a sparire oltre l’orizzonte da noi osservabile. La loro luce non riuscirà più a raggiungerci. Insomma tra cento miliardi di anni il nostro splendido cielo sarà completamente buio, ad eccezione di un’enorme galassia sferica e concentrata, che pian piano si spegnerà, fino a collassate in un buco nero. A quel punto ci sarà ancora la specie umana? Oggi vanno di moda i catastrofismi di tutti i tipi, e anche queste previsioni della scienza sono state sfruttate da alcuni per aumentare la nostra cronica mancanza di speranza. Eppure gli stessi scienziati fanno almeno due considerazioni di tipo opposto: la prima è che quello che non sappiamo è sempre più di quello che conosciamo. Non riusciamo a prevedere che tempo farà tra una settimana, figuriamoci prevedere il cosmo tra cento miliardi di anni. Quindi prudenza nel fare previsioni, sia pessimistiche che ottimistiche, al di là del nostro naso. Seconda considerazione: l’inizio dell’agricoltura, e quindi della storia recente della comunità umana, è fissato a circa undicimila anni avanti Cristo. Poco più di un bruscolino rispetto ai circa 13,7 miliardi di anni di vita dell’universo. Eppure in questo breve periodo, l’uomo è riuscito a fare progressi straordinari (insieme a disastri a livello planetario). Dunque, nel futuro la razza umana potrebbe certamente estinguersi, ma anche fare passi avanti in direzioni per ora impensabili. Una cosa è sicura: con i dati che abbiamo attualmente, possiamo dire che la storia del nostro universo, così come lo conosciamo, prevede un termine, anche se in un lontano futuro. Dunque anche la specie umana, come ogni singolo uomo, prima o poi sembra destinata a finire. Fin qui la scienza.Nel frattempo, per i molti che non hanno ancora perso il senso di meraviglia per il bello e per il mistero – pur tra luci al neon e (ancora bruttini?) mondi virtuali -, Hubble continua a scoprire stelle e galassie. Le possiamo ammirare, gratis, all’indirizzo: hubblesite.org/gallery. ANTIGRAVITÀ COSMICA Conosciamo bene la gravità, se non altro l’avvertiamo ogni volta che ci pesiamo sulla bilancia. L’antigravità, invece, finora la potevamo trovare solo nei romanzi di fantascienza. Invece c’è, ne vediamo gli effetti nell’espansione a ritmo crescente dell’universo, ma non sappiamo quale ne sia l’origine fisica: un nuovo tipo di materia, invisibile dai nostri strumenti, che invece di attrarre respinge? Un astronomo americano confessa: È imbarazzante ammettere che non riusciamo a trovare il 90 per cento dell’universo . In effetti, recenti misure indicano che la materia finora conosciuta costituisce solo una trascurabile percentuale della massa totale. Ma la causa dell’antigravità potrebbe anche essere diversa: una forma sconosciuta di densità energetica del vuoto chiamata energia oscura, oppure il crollo della relatività generale di Einstein su scale cosmologiche, o ancora un nuovo campo energetico. Non lo sappiamo. Ferve la ricerca, ma per ora non si intravede la soluzione.