L’unità tra l’uomo e il creato secondo il Paradiso del ‘49
Quale dovrebbe essere il rapporto tra l’uomo e la natura? Come questa relazione si inserisce nel cammino dell’umanità verso l’unità nella visione di Chiara Lubich? Proponiamo qui per i lettori di Città Nuova un estratto dal capitolo a firma di Pasquale Ferrara.
L’unità come politica. Una prospettiva planetaria.
La verità è che la nuova condizione del mondo ci impone di ripensare le stesse categorie politiche, a cominciare dall’idea di democrazia, che dovrebbe includere forme di responsabilità e di rappresentanza pure verso le componenti non umane del pianeta (animali, piante), che sono anch’esse parte di un complesso socio-naturale in cui è immerso l’essere umano non in posizione egemonica ma in quella di responsabilità e cura, che esclude l’arbitrio e limita l’esercizio di una razionalità intesa in modo puramente strumentale.
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Di fronte alla crescente crisi socio-ambientale, le religioni stanno diventando sempre più consapevoli del fatto che questa sfida sta alterando profondamente ogni aspetto anche della stessa vita religiosa: riflessione teologica, auto-definizione istituzionale, condotta quotidiana dei credenti, rituali.
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Sullo sfondo di questo rinnovato impegno delle religioni per un’ecologia integrale, alcuni aspetti del rapporto tra l’uomo e la natura, come emergono da taluni passaggi del testo inedito di Chiara Lubich Paradiso ’49, presentano notevole interesse per la riflessione sui presupposti dell’agire politico nella condizione dell’Antropocene/Ecozoico. Secondo Lubich tutta la creazione risponde a un movimento unitivo (un «dramma universale) di comunione, nel quale l’uomo ha un posto essenziale, ma a condizione che egli stesso si trascenda: «ogni uomo ha da perdersi in Dio per divenire Dio», diventando perciò egli stesso «amor di Dio».
Similmente, anche l’enciclica Laudato si’ di papa Francesco sostiene che «le creature tendono verso Dio, e a sua volta è proprio di ogni essere vivente tendere verso un’altra cosa, in modo tale che in seno all’universo possiamo incontrare innumerevoli relazioni costanti che si intrecciano segretamente».
In questa chiave precisa si può comprendere a fondo la grande responsabilità teleologica dell’uomo e della donna come emerge nell’intuizione di Chiara Lubich: «Le creature dell’universo sono in marcia verso l’Unità, verso Dio, per indiarsi e s’indiano attraverso l’uomo: piccola creazione in miniatura con regno e re». Il “regno” – spiega la Lubich in nota – è tutto il creato e il re è il Cristo presente in esso.
Non è dunque l’essere umano a esercitare la regalità rispetto al mondo naturale. Egli non è il “sovrano” della natura, ma ha piuttosto la missione di consentire alla stessa natura di “divinizzarsi”. Più che di “sovranità”, si dovrebbe quindi parlare di un “incarico”, a partire dalla compartecipazione allo stato creaturale.
Se, come afferma Chiara Lubich, la redenzione cristiana ha riguardato anzitutto l’essere umano, la ragione risiede nel fatto che «l’uomo è la creazione intera in miniatura»; «l’uomo dunque è la creazione e, redento lui, tutto è redento». Questa peculiare posizione dell’essere umano non è però separabile, pena un grave fraintendimento, dalla dinamica che si stabilisce tra Creatore, Cristo e creazione, e che si fonda sull’amore che porta «l’altro all’altezza di sé comunicando sé all’altro».
Nel grande affresco della redenzione universale, non soltanto «la Creazione fu universale e non del solo uomo», ma anche «la Santificazione sarà universale e non del solo uomo».
L’uomo, dunque, eleva la natura, non la soggioga; contribuisce a portarla al suo compimento; non la umilia ma la porta con sé in Dio. Nella prospettiva finale, al di là cioè dello spazio e del tempo come sono nel presente, la natura stessa, e non solo l’essere umano, è destinata a essere «Immagine» del Creatore: «tutto ciò che è è Dio, è Amore, è Santità».
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