L’Unione europea s’apre ai Balcani
Poco più di 19 milioni di persone, 6 Stati, decine di etnie diverse, soprattutto 6 Paesi reduci da guerre che ne hanno rallentato la via verso la democrazia. Serbia e Montenegro sono già da tempo impegnati nei negoziati di adesione, mentre per Albania, Kosovo, Bosnia Erzegovina e Macedonia solo ora si aprono le porte alla trattativa. Lunga, che richiederà una decina d’anni di adattamenti e di preparazione, sempre che i Paesi candidati proseguano nella loro via verso una piena e chiara gestione democratica dei loro apparati.
Tutto ciò è contenuto nel documento Una prospettiva credibile per l’allargamento ai Balcani occidentali. Dice la Mogherini, responsabile Ue per gli Esteri: «I popoli e i leader dei Paesi balcanici hanno scelto di portare i loro Paesi nell’Unione, ognuno seguendo ritmi e modalità propri. Noi abbiamo fatto la stessa scelta». Inizia un percorso, dunque, che potrebbe arrivare a compimento, ma che potrebbe anche arenarsi nelle secche delle difficoltà economiche o delle resistenze interne. L’esempio turco a questo proposito è lampante, con un processo di adesione ormai arenato per questioni interne turche ma anche per la non conformità di troppe leggi di Ankara alle esigenze Ue.
Tre considerazioni paiono necessarie: innanzitutto, che la prima resistenza all’ingresso dei nuovi 6 Paesi balcanici nell’Ue sarà data proprio dallo scarso entusiasmo che ha suscitato la precedente ondata di ingressi dal Centro e dall’Est europeo post-comunista. Non sono pochi i governi della “vecchia” Ue che guardano con rimpianto ad un’Europa più limitata, e non a caso si parla insistentemente del progetto di riforma Ue (Merkel-Macron) che conterrebbe l’idea di “un’Europa a due velocità”. L’ingresso dei 6 nuovi Paesi balcanici occidentali rischierebbe di portare a un’Europa a tre velocità.
Seconda considerazione: i cannoni nei Balcani sono ancora fumanti. Le tensioni non sono sopite, come dimostrano ad esempio i recenti incidenti del Kosovo filo-serbo, con l’uccisione del leader “pacifista” Oliver Ivanovic, o le continue tensioni che esistono all’interno delle due entità della Bosnia-Erzegovina. Certamente la prospettiva di un’entrata nella Ue potrebbe sopire antichi contrasti e avviare le menti e i cuori verso una vera pacificazione. Ma gli interessi etnici o politici locali, con le relative derive di illegalità, potrebbero preferire la confusione e l’incertezza alla solidità di un “controllo” europeo.
Terza considerazione: il 17 maggio a Sofia si terrà un incontro tra i leader Ue e quelli dei 6 Paesi candidati o prossimi candidati all’ingresso nell’Unione. Saranno capaci di non limitare le loro conversazioni a questioni giuridiche o economiche, procedurali? Il grave vulnus che ha creato problemi nel primo allargamento al Centro e all’Est europeo è stato dettato da un deficit culturale, di pensiero direi, di visione, cioè di comprensione dello stato in cui si trovavano quei Paesi dopo 50 anni di socialismo reale, e della loro necessità di ritrovare un’identità precisa, di non sentirsi condizionati dalle esigenze non sempre condivise dell’Europa occidentale. Senza un accordo “culturale”, senza una “visione comune” è inutile pensare ad un allargamento solo economico o burocratico.