L’Unione africana ritira a Israele lo status di osservatore

L'Unione africana ha ritirato ad Israele lo status di osservatore durante il vertice dell'organizzazione panafricana del 17-18 febbraio 2024. Israele aveva ottenuto lo status di osservatore presso l'Unione africana nel 2021 per tre anni.
I capi di Stato africani intonano l'inno nazionale dell'Unione africana all'inizio della 37a sessione ordinaria del vertice dell'organizzazione panafricana ad Addis Abeba, Etiopia, il 17 febbraio 2024. Foto. EPA/MINASSE WONDU HAILU via Ansa

Il conflitto tra Israele e Hamas ha raggiunto una scala globale, le ramificazioni della guerra con feroci ondate di sangue, si fanno sentire in tutto il mondo. La polarizzazione politica è cresciuta ben oltre il campo di battaglia, cioè, le minacce globali oltre ai disordini economici, aumento delle vulnerabilità, includono maggiore polarizzazione politica, nuove difficoltà strategiche.

«Più la lotta si protrae, più diventa pericolosa» sostiene Robin Wright di Usip-Wilson Center. In un mondo già duramente provato, polarizzato, il conflitto si sta estendendo a continenti distanti, città lontane e campus universitari, creando terribili differenze «che non possono essere semplicemente etichettate come pro-Israele o pro-Palestina», conclude Wright.

Nelle ultime settimane, il dibattito nel continente africano si è cristallizzato molto su un incidente diplomatico avvenuto all’interno dell’Unione africana, che ha però lasciato un segno in molti. Nel febbraio 2023, durante il precedente vertice dell’Unione africana (Ua), una delegazione israeliana era già stata allontanata dall’Assemblea Generale dell’Ua in occasione della riunione di Addis Abeba. Il Sudafrica e l’Algeria avevano avviato una protesta contro la presenza di rappresentanti israeliani e si erano opposti alla presenza di Israele come osservatore nell’Organizzazione panafricana. Tuttavia, la questione non aveva ricevuto una risposta formale.

La questione era iniziata nel 2021, quando il presidente della Commissione dell’Unione africana, il ciadiano Moussa Faki Mahamat, decise di accreditare Israele e da allora l’organizzazione panafricana ha costantemente rimandato la possibilità di un voto su questo tema che, secondo gli analisti, avrebbe potuto causare una spaccatura senza precedenti nei 20 anni della sua esistenza.

La guerra nella Striscia di Gaza ha messo fine al dibattito. Il 17 febbraio, la portavoce dell’Unione africana Ebba Kalondo ha chiarito che «Israele non è stato invitato a questo nuovo vertice», ponendo di fatto fine all’accreditamento di Tel Aviv come osservatore.

A soli tre anni dall’accoglimento, lo Stato ebraico è stato escluso da ogni partecipazione ai vertici dell’organizzazione panafricana. Le conseguenze della guerra a Gaza hanno pesato di più nella decisione della maggioranza degli Stati membri rispetto agli sforzi di lobbying degli alleati storici di Tel Aviv.

Nanjala Nyabola, scrittrice e analista politico keniota afferma: «È una questione di storia. È una questione di solidarietà. È una questione di esperienze condivise di tutti questi tipi di violenza sistemica», e intravede una «lunga storia della solidarietà africana con la Palestina».

«Credo sia importante capire che l’Unione africana, come insieme, è stata una coerente sostenitrice dei diritti dei palestinesi fin dal 1972, e probabilmente fin dal 1948. Molte nazioni africane vedono delle somiglianze e un’esperienza identica tra l’occupazione della Palestina e ciò che hanno subito sotto la colonizzazione, quindi c’è molta empatia e molta risonanza».

Nanjala afferma che «l’aumento delle violenze a Gaza ha solo chiarito che l’Unione africana manterrà la sua posizione storica, che è il riconoscimento dei territori palestinesi e la richiesta di aderire al diritto internazionale sulla questione della Palestina, compresa l’occupazione, che è precedente al 7 ottobre e si estende a ogni singola risoluzione delle Nazioni Unite approvata sull’argomento. Questa è la posizione ufficiale dell’Unione africana». E conclude: «Ciò che abbiamo visto nell’ultima settimana è un rafforzamento, o una reificazione, di questo punto di vista».

Durante il discorso di apertura del vertice dell’Unione africana 2024, a pronunciare parole dure contro l’intervento militare dell’esercito israeliano è stato nientemeno che Moussa Faki Mahamat, presidente della Commissione dell’Unione africana, che aveva concesso a Tel Aviv lo status di osservatore. L’esercito israeliano ha «umiliato la dignità e privato i palestinesi di tutti i loro diritti» a Gaza.

Il presidente uscente dell’Unione africana, il presidente comoriano Azali Assoumani, ha ringraziato il Sudafrica per aver avviato un procedimento contro Israele presso la Corte internazionale di giustizia per violazione della Convenzione sul genocidio.

La fine del ruolo di osservatore di Tel Aviv porrà fine all’influenza della diplomazia israeliana in Africa? È difficile dirlo. Negli ultimi anni, il primo ministro israeliano ha aumentato il numero di partnership economiche e di sicurezza con vari Paesi del continente.

È importante, comunque, distinguere la posizione dell’Unione africana da quella dei singoli Stati membri. Vari osservatori sostengono il fatto che, mentre l’Unione stessa è stata coerente e ha sempre sostenuto l’indipendenza della Palestina, le varie nazioni africane sono naturalmente libere di avere relazioni diverse sia con Israele che con la Palestina. Così, ad esempio, mentre tutti i Paesi africani, tranne uno, riconoscono lo Stato di Palestina, il riconoscimento dello Stato di Israele è variato nel tempo. Per un certo periodo, dopo la guerra del 1972, le nazioni africane hanno dichiarato che non avrebbero riconosciuto lo Stato di Israele, ma la situazione è in seguito cambiata notevolmente.

Speriamo e preghiamo che lo sviluppo di queste relazioni possa eventualmente stabilire relazioni diplomatiche con l’obiettivo di risolvere le ingiustizie in modo non violento e di trasformare le condizioni strutturali che continuano a generare conflitti mortali.

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