L’unica ricchezza di Malika
Èun lunedì sera, uno come tanti altri. Dopo cena, mi attardo sul divano. Il programma in tv inizia ad esercitare su di me un irresistibile potere soporifero, ed il tepore della casa mi avvolge come una soffice coperta. Mi balena per un attimo il pensiero che proprio in quel giorno cade il mio turno alla ronda della carità, ma l’idea di alzarmi da quella poltrona mi risulta particolarmente ostica, quella sera. Con uno scatto di volontà, decido alla fine di uscire. Si è fatto tardi, e con passo svelto mi affretto verso il consueto luogo dell’appuntamento con gli altri volontari. Lungo la strada, mi raggiunge una telefonata di Michele: È successo qualcosa? Sono qui da solo…. In che senso?. Qui non è ancora arrivato nessuno. Strano, sapevo che sarebbero mancati solo Stella e Lino, ma gli altri ci dovrebbero essere . In realtà, trovo solo lui. Iniziamo la ronda facendo il consueto giro nei luoghi frequentati dal popolo della notte, quello che non ha dove andare a dormire. La prima persona che incontriamo è Malika. Ha sette mesi ed è bellissima. Ci regala il suo sorriso, l’unica ricchezza che ha. È accompagnata dai suoi genitori: Serena che ha 24 anni, e Abdulafta, di 25. La donna, in attesa di un altro figlio, è piuttosto appesantita e sofferente. Inoltre soffre ad un piede. Li portiamo alla nostra sede Caritas in via Silvestrini. Loro chiedono di incontrare Franco, un volontario che conoscono e che si mette subito a disposizione. La situazione si presenta piuttosto delicata: Serena è uscita da una comunità terapeutica da appena due giorni portando con sé la piccola, senza averne l’autorizzazione da parte del tribunale per i minori. Anche il suo compagno marocchino ha fatto la stessa trafila. Cerchiamo di capire i loro progetti, ma costatiamo che sono molto confusi. In realtà, vorrebbero solo delle coperte, perché hanno adocchiato una vecchia casa abbandonata. Guardo Malika: sorride serena, fiduciosa. Tento di far capire ai suoi genitori che non possono far dormire praticamente per strada una bambina così piccola. Intanto offriamo loro un pasto caldo. Ma è troppo poco, ci rendiamo conto. I due giovani mostrano segni evidenti di irrequietezza, di nervosismo. Cerchiamo di prendere tempo, di convincerli a farsi aiutare… ma sono irremovibili. Fumano come due ciminiere, entrando ed uscendo di continuo dalla stanza. Intanto, ci mettiamo in contatto con la questura: non possiamo farci complici, tacendo, della sottrazione di un minore. Poco dopo, infatti, arriva una volante. L’ispettore lo conosciamo: è persona nota per il suo tatto e per l’umanità con cui sa gestire situazioni anche molto difficili senza ricorrere a soluzioni estreme. Lo metto rapidamente al corrente del poco che so sul conto dei due giovani. Loro, alla vista della polizia, credono di essere caduti in una trappola. L’atmosfera si fa ancora più tesa: si sentono traditi. L’ispettore parla con toni concilianti, facendo loro notare semplicemente che non possono far dormire all’addiaccio la bambina. Per rasserenarli, riparte con i furgoni della polizia, lasciando solo due agenti. Ora non resta altro che cercare una sistemazione, almeno per Ma- lika e la sua mamma. La piccola intanto, dopo l’ultimo biberon, si è addormentata. La sdraio sul suo passeggino. Passano altre due ore, e in attesa di una risposta che tarda a venire, ho modo di conversare un po’ con Serena. Lei mi confida di avere un altro figlio di quattro anni, nato da una relazione precedente, che è in affido ai suoi genitori. Mi mostra la sua foto, l’unica cosa che ha, perché è tanto tempo che non lo vede. Le propongo di chiamare suo padre. Dall’altra parte del telefono si sente la voce di un uomo stanco, provato, che risponde dicendo di essere sempre disponibile ad ascoltarla, ma che per il resto deve provvedere a sé stessa. Serena mi parla anche della sua vita vissuta per strada. Dice di essersi drogata con cocaina ed eroina, e di avere smesso, anche se si sente ancora fragile e piuttosto confusa. Mi si stringe il cuore: quale futuro ci sarà per lei e i suoi figli? Finalmente arriva l’ispettore: ha trovato un posto da don Sergio Pighi presso la comunità dei giovani a Corte Molon, nei pressi di Verona. Senza il suo interessamento, ben oltre l’orario di ufficio, avremmo potuto risolvere ben poco. Ci mette a disposizione la scorta di una volante sino a Corte Molon. All’una e trenta di notte, il sacerdote ci fa festa come fosse pieno giorno: ci offre un caffé, e prende in consegna la giovane mamma, assicurandoci che lui stesso l’avrebbe accompagnata l’indomani al centro di servizio sociale per provvedere a tutto ciò che occorreva. Malika viene portata in una stanza confortevole, attrezzata di un bagno con acqua calda e con tutto quanto occorre all’igiene di un neonato. Il letto è caldo, le lenzuola profumano di bucato. La depongo con delicatezza, ancora addormentata. Sono le due e mezzo quando torno a casa. La stanchezza è tanta, ma… sono felice.