LUngheria si riscopre globale
«Dopo il Genfest, Budapest non sarà come prima», ha affermato Maria Voce in un’intervista ad un giornale ungherese ed ha avuto ragione. Infatti, il Genfest ha aperto nuovi orizzonti non solo per la capitale, ma anche per osservatori attenti dentro e oltre i confini del Paese magiaro. La grande manifestazione internazionale dei giovani ha provocato non solo gli interlocutori della vita ecclesiale e politica ma anche i giornali. «Perché un movimento cattolico si dedica alla causa del mondo unito?». La domanda posta dal cardinale Péter Erdő arcivescovo di Budapest-Esztergom nella sua omelia, pronunciata davanti alla basilica Santo Stefano, simbolo dell’identità religiosa e nazionale per gli ungheresi cattolici, si inserisce in un clima di antiglobalismo e di difesa della propria identità nazionale che rischiava di non far comprendere il messaggio del Genfest e il suo slogan “Let’s Bridge”. «La religione non può diventare espressione di un egoismo nazionale, ma deve aprire la strada per la riconciliazione fra i popoli. Questo è uno dei messaggi del Genfest per la città di Budapest», ha affermato il porporato.
Il rischio nazionalismo Infatti, dopo secoli di oppressione, l’Ungheria sta ancora vivendo un faticoso travaglio di mutamenti sociali e politici con un’economia fortemente esposta ai mercati globali. Per il mantenimento della fede cristiana e la conservazione dei valori culturali degli ungheresi si schierano le chiese e la destra politica che vogliono allargare il concetto di nazione oltre i confini del Paese per includere tutti gli ungheresi nei territori confinanti e sparsi in tutto il mondo. «Abbiamo portato un tocco di internazionalità, un respiro più largo nei più di 200 ambienti, università, scuole, parrocchie, campeggi estivi dei giovani, che abbiamo visitato per preparare l’evento», dice Ágoston Gőbel, uno dei giovani più attivi nell’organizzazione. «Abbiamo spiegato con testimonianze e fatti che questa internazionalità favorisce la conoscenza, l’accoglienza e l’amicizia fra i giovani. Abbiamo contattato personalmente, nella fase di preparazione circa dodicimila coetanei e abbiamo parlato in diversi programmi radiofonici e televisivi dove abbiamo potuto spiegare il vero significato del Progetto Mondo Unito e della fratellanza universale.», conclude con entusiasmo.
La città Gli abitanti di Budapest erano impressionati da questa folla di giovani così diversi: trasmettevano non solo scanzonata allegria, ma «anche gioia e non lasciavano in giro immondizia quando attraversavano la capitale con la loro marcia per la pace e la fraternità», commentavano in parecchi. Una foto è apparsa su tanti giornali ed è stato girata su migliaia di pagine internet: in Piazza degli Eroi un folla di giovani in marcia dalla Sportarena al ponte delle Catene sul Danubio, si ferma davanti al Monumento del Millenario con le statue dei capi delle sette tribù che hanno fondato l'Ungheria e altre statue che raccontano la storia del Paese. Un’immagine che ha fatto centro. Questa piazza, testimone di grandi avvenimenti storici come la risepoltura solenne dei martiri della rivoluzione del 1956 e la visita di Giovanni Paolo II, abbraccia ora bandiere sventolanti di tutto il mondo ed è come se l’Ungheria abbracci idealmente l’intero globo terrestre.
Impegno su vasta scala. Il lato forte della chiesa in Ungheria sono, senz’altro i gruppi giovanili, dove brillano certe virtù cristiane che in altri posti del mondo secolarizzato non sembrano più evidenti. Il Genfest ha portato la scoperta di nuove possibilità d’impegno e di collaborazione che come cerchi concentrici sono partiti dalla propria città per aprirsi a progetti su scala internazionale. Per l’Ungheria sarà importante il periodo del post Genfest perché il Progetto Mondo Unito, per non rimanere sulle nuvole deve incarnarsi in progetti pur modesti ma concreti come risposta alle lacerazioni delle società post comuniste nel bacino dei Carpazi: la riconciliazione e collaborazione fra ungheresi, slovacchi, rumeni, serbi, la piena accoglienza della numerosa comunità rom, il dialogo con gli ebrei sono alcuni dei fronti caldi dove il cantiere di let’s bridge deve aprirsi.
Lo spirito di squadra «La preparazione al Genfest è stata una vera scuola per abbracciare le più varie diversità” dice Ilona Tóth, una delle responsabili della manifestazione. “Dovevamo rigenerare, giorno per giorno, una forza di coesione fra di noi da legare continenti, centro organizzativo internazionale e locale, giovani ed adulti e così via. Ascoltarci, creare insieme, chiedere perdono, ricominciare, darci fiducia reciprocamente. Abbiamo mantenuto fra di noi questo spirito di famiglia durante i lavori preparativi e siamo cresciuti tutti affrontando le numerose sfide organizzative ed economiche». E questo stile di lavorare insieme entrava nel cuore della gente, delle autorità, e nella fase finale dei lavori non si sapeva più la provenienza di tutti i collaboratori e dei volontari: aderivano ai Focolari o avevano risposto ad appelli pubblici? persone che ci aiutavano. Una poliziotta di alto rango che ha lavorato per diversi premessi ha detto: «Non potevo immaginare che la religiosità si potesse manifestare in un forma così moderna» ed ha marciato con i giovani nelle vie principali.
I politici Anche gli interventi dei diversi politici durante il Genfest hanno contribuito notevolmente a rendere apprezzabile l’idea del mondo unito e della fratellanza universale. Antal Rogán, all’inaugurazione dell’Angolo della Fraternità, ha apprezzato molto quest’iniziativa dei giovani sottolineando che «la cultura dell’umanità è la cultura dell’amore». Nel Parlamento, János Martonyi, il ministro degli Affari Esteri nel messaggio di benvenuto ha ribadito: «Le sfide sono globali e le risposte sono universali, legate ai valori universali. A tutti i livelli constatiamo la cultura del sospetto, dell’odio. A questo bisogna rispondere con la cultura dell’amore». E ha concluso «Grazie ai 12.000 che hanno portato qui questa straordinaria iniziativa. Attraverso il loro amore, riscopriamo il nostro».
Simili le espressioni di Katalin Bogyay, presidente della Conferenza Generale dell’Unesco e del sindaco di Budapest István Tarlós che hanno incoraggiato la nascita dell’espressione politica del Movimento dei focolari, Movimento Politico per l’Unità il cui manifesto è proprio trasferire anche nei Parlamenti e nei luoghi di decisione pubblica questo spirito di fraternità.