L’umiltà del male

Franco Cassano - Laterza 
Franco Cassano "L'umiltà del male".

Straordinario titolo, non c’è che dire. Cassano – sociologo e filosofo e antropologo – ha trovato un titolo azzeccatissimo, di quelli che da soli fanno la fortuna d’un libro. Perché è difficile resistere, in questi tempi convulsi, a un approccio così tradizionale e al contempo innovativo: “umiltà” e “male” sono due termini che paiono totalmente contraddittori, ma che suggeriscono l’atteggiamento collettivo di fronte allo smarrimento d’un capitalismo forsennato che esalta il narcisismo, di un marxismo ridotto a reliquia, di un cristianesimo arroccato sulla difensiva.

 

Come può il male essere umile, se l’umiltà è prerogativa di pochi, dei santi, dei profeti? Cassano rivisita il “Grande inquisitore”, celeberrimo passaggio dei Fratelli Karamazov di Fëdor Dostoevskij che è diventato la pretesa neo-chic del “siamo-tutti-colpevoli”, la giustificazione ideologica di un collettivismo anti-istituzionale.

 

Per Cassano sarebbe l’umiltà del male il vero nemico da combattere, il male che s’insinua dovunque, soprattutto nell’alterigia di chi si pone in qualche modo tra gli eletti, in una gnosi altezzosa che impedisce di fare i conti con la debolezza dell’uomo. Anzi, la posizione superiore degli eletti sarebbe una delle cause più profonde del trionfo del male.

Suggestivo. Cassano comincia alla grande e colpisce nel segno. Poi si banalizza e finisce col propugnare un “leggero” impegno, una vaga fraternità, senza dar nerbo alla necessaria lotta contro il male. Manca la lettura della Passione, la presa sul serio della ferita che ha colpito la divinità nell’abbandono traumatico. È lì che si è concretizzata la critica più feroce a ogni potere, è lì che la debolezza dell’uomo muta in fortezza. È lì, sulla croce, che l’uomo, qualsiasi uomo, ha trovato l’icona dell’umiltà di fronte al male, che umile non è mai. Forse bisognava intitolare il libro: La finzione dell’umiltà del male.

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