Lulu di Berg
A Roma, al Teatro dell’Opera, hanno dato il lavoro di Alban Berg, incompiuto alla sua morte nel 1935, completato da Friedrich Cerha e diretto da Pierre Boulez, a Parigi il 24 febbraio 1979. Tre atti in cui si snoda la vicenda della femme fatale Lulu – tratta dai lavori di Frank Wedekind, Erdgeist e Die Büchse der Pandora –, eroina dall’anima nera come il suo tempo e il nostro. Dal circo al teatro, dalla prigione all’ospedale, alla prostituzione, la donna, anche attraverso i delitti e i matrimoni d’interesse, gioca la sua vita, ma diventa vittima della propria ambizione. Un dramma di squallore morale con una musica che prende, aggredisce, passando da forme “chiuse” (canzonette, duettini, lied ed altro ancora) a scene di ampio respiro, con inserti cinematografici, passaggi dal dedecafonico al tonale: una sorta di danza della morte a ritmo televisivo. La quale appare la vera protagonista dell’opera in cui si avverte tutta l’ansia del “secolo breve”. L’edizione romana vedeva la regia di William Kentridge, fascinosa, affollata di citazioni visive espressioniste, con pareti di cartone riciclato su cui scrivere in nero i delitti, un palcoscenico sghembo, una controfigura di Lulu recitante a parte. E poi la direzione di Alejo Pérez, puntuale insieme alla compagnia di canto, fra cui la brava Lulu di Agneta Eichenholz. Da rivedere.