L’ultimo saluto a Vanessa Zappalà

Una bara bianca sul sagrato del Santuario dei Santi Martiri Alfio, Filadelfo e Cirino. A Trecastagni i funerali di Vanessa Zappalà, la 26enne uccisa con sette colpi di pistola alla testa, sul lungomare di Acitrezza, dall'ex fidanzato, Antonino Sciuto, 38 anni, che si è poi suicidato impiccandosi.

La bara bianca con girasoli e rose bianche sul sagrato del santuario dei Santi Martiri Alfio, Filadelfo e Cirino, patroni di Trecastagni. Sullo sfondo l’Etna e i suoi panorami, mentre calano le ombre della sera su una cittadina affranta dal dolore.

Qui nella terra che i tre fratelli pugliesi del terzo secolo dopo Cristo, attraversarono prima di venire uccisi a Lentini, si è consumato anche il martirio della giovane donna.

Avevano forse la stessa età i tre giovani e Vanessa Zappalà, l’età in cui ci si apre ai sogni della vita. I sogni di Vanessa, però, si erano spezzati perché Antonino Sciuto, il suo fidanzato, si era rivelato l’uomo sbagliato. Scene di gelosia, percosse, umiliazioni finché la giovane aveva deciso di farla finita. Senza però riuscire a lasciarsi alle spalle quel passato ingombrante.

Il rito funebre è stato celebrato da monsignor Salvatore Genchi, vicario generale della diocesi di Catania. In piazza i genitori di Vanessa, i parenti, le amiche con cui aveva trascorso quella serata ad Acitrezza. Monsignor Genchi ha invitato «a continuare a credere nell’amore di Dio».

In prima fila ci sono le autorità, i sindaci della zona (è stato proclamato il lutto cittadino), la mamma e il papà, i colleghi di lavoro, gli amici, anche coloro che erano con lei in quella tragica notte. Tutti hanno visto, tutti hanno raccontato esattamente ciò che è successo. Lui si è avvicinato, ha inveito contro di lei, il gruppo di giovani ha cercato di allontanarsi, Antonino Sciuto li ha raggiunti, ha afferrato la giovane per i capelli e le ha sparato alla testa. Un’esecuzione. Quasi tutti i colpi sono andati a segno. Poi si è ucciso in un casolare di Trecastagni. La sua ossessione malata è emersa in questi giorni: il gps nelle auto di Vanessa e del papà Carmelo, gli inseguimenti, gli appostamenti, le continue persecuzioni. Si era persino intrufolato nel solaio di casa per ascoltare i colloqui familiari. Era stato denunciato, arrestato e poi rilasciato. Forse la legge sul “Codice Rosso” è da rivedere e servono provvedimenti più severi contro gli stalker.

«Quello di Vanessa non è stato un delitto d’amore – ha detto il sindaco Giuseppe Messina – l’amore è altro. Vanessa, non ti dimenticheremo mai».

Non è amore. La gelosia, l’ossessione, il senso di possesso non è amore. Le associazioni contro la violenza sulle donne, da anni, si battono per mettere in guardia contro comportamenti sbagliati per aiutare a riconoscere i segni di un rapporto deviato. Spesso comportamenti come questi hanno radici lontane, in un’infanzia difficile, in rapporti familiari complicati, in contesti culturali che favoriscono le devianze. Sono importanti anche gli anni della scuola, in cui i ragazzi trascorrono gran parte della loro vita.

«Nelle scuole, ormai da anni, si lavora molto in questa direzione  – spiega Giusy Aprile, preside dell’Istituto comprensivo Archimede di Siracusa – in tutte le scuole, ormai da anni, si fa “disseminazione” della cultura di genere. In occasione del 25 novembre, ci sono numerose iniziative che mirano a far comprendere questi temi ai nostri ragazzi. A Siracusa, abbiamo avviato ei progetti importanti insieme al Centro Studi Paolo e Rita Borsellino e da Libera di Palermo. Abbiamo raccontato la vita delle donne che si sono affrancate e che hanno avuto il coraggio delle loro scelte, anche in contesti difficili. Ci sono testimonianze forti ed importanti che devono servire a imprimere una svolta alla cultura. A Siracusa, una  scuola è stata intitolata ad “Eligia e Giulia Ardita”, alla giovane donna che è stata uccisa dal marito insieme alla figlia che portava in grembo e che sarebbe nata qualche giorno dopo.  La scuola si trova in via Calatabiano, nei pressi della casa dove si è consumato l’uxoricidio. C’è molto da fare in questa direzione, ma la scuola sta cercando di fare sempre di più».

Gesualdo Bufalino aveva detto che la mafia si combatte con un esercito di maestri elementari. Forse anche la violenza e la violenza sulle donne.

 

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons