L’ultimo saluto a Wangari Maathai
Funerali di Stato per il premio Nobel, tra la commozione di un intero continente. Il ricordo di chi l'ha conosciuta personalmente
La fondatrice del Green belt movement e premio Nobel per la pace Wangari Maathai , morta lo scorso 25 settembre, è stata cremata sabato 8 ottobre, come da lei stessa desiderato. Le sue ceneri sono state sepolte all’Istituto di studi per la pace e l’ambiente a lei intitolato, presso l’Università di Nairobi.
Sin dal giorno della sua morte, i media di tutto il mondo e i blogger africani hanno ricordato i vari aspetti della sua vita e della sua attività, mentre capi di Stato e leader politici le hanno reso omaggio. Il Kenya ha disposto funerali di Stato, che sono stati celebrati domenica 9 ottobre, accompagnati da momenti di preghiera interreligiosa nella capitale Nairobi. Sarebbe impossibile riassumere in poche righe tutto quello che è stato detto e fatto in suo onore.
Ho avuto l’occasione di incontrare Wangari Maathai diverse volte. Aveva una straordinaria capacità di combinare il suo essere visionaria, le sue convinzioni, una mentre brillante e una passione ardente, per mettersi concretamente al servizio di tutti. In questi giorni, diverse riflessioni mi sono venute alla mente.
Innanzitutto, mi sono resa conto che possiamo soltanto immaginare quali siano i sentimenti della donne dell’Africa rurale che non hanno accesso ai mezzi di informazione per far sentire la loro voce, e con cui la Maathai si identificava così tanto. Una delle sue caratteristiche che mi ha sempre colpito è stata la grande semplicità e umiltà, tanto che aveva una connessione rara e straordinaria con queste donne. Sebbene sia stata la prima donna dell’Africa centrale e orientale ad ottenere un dottorato, nonché a guidare un dipartimento universitario in Kenya e a vincere il Nobel per la pace, è sempre stata una persona alla mano al di là della fama raggiunta, e un convinto difensore degli oppressi. Non si è mai piegata all’ideologia consumista, ma ha usato la sua istruzione per fare la differenza nella vita di tanta gente. Non ha mai voltato le spalle alle risorse spirituali e intellettuali delle comunità di villaggio, tanto che nell’accettare il Nobel ha riconosciuto che molto di ciò che aveva imparato sulla salvaguardia dell’ambiente risaliva alla sua infanzia a Nyeri, nel Kenya rurale.
In secondo luogo, per quanto sia stata definita una femminista in varie occasioni, la descriverei piuttosto come qualcuno che si occupava di ogni essere umano: i kenyoti la chiamavano mama wa taifa, madre della nazione, a dimostrazione di questo. Nel discorso per la consegna del Nobel, sebbene abbia riconosciuto di dedicare una particolare attenzione alle donne, ha definito quella sua conquista una pietra miliare per l’umanità: «Come prima donna africana a ricevere questo premio, lo accetto a nome di tutto il popolo del Kenya, dell’Africa e del mondo. Penso soprattutto alle donne e alle bambine: spero che questo le incoraggerà a far sentire la loro voce, e avere più spazio di leadership. Ma so che questo riconoscimento onora profondamente anche i nostri uomini, giovani e non. Come madre, apprezzo la spinta che questo dà ai giovani, e li incoraggio a perseguire i loro sogni». E davvero è diventata un modello per molte donne e uomini, in Africa e oltre.
(traduzione di Chiara Andreola)