L’ultimo Raffaello
Se qualcuno è ancora in ferie o ci sta andando, magari volando in Spagna, non si perda a Madrid, al Prado, una mostra, che dire eccezionale è poco. Radunare capolavori dal Louvre, dal Metropolitan di New York, da Bologna e così via è un fatto raro e difficile, anche perché le opere sono su tavola e quindi molto fragili. Ma, a dispetto della crisi, gli spagnoli rischiano e la mostra sull’ultimo Raffaello ha fatto centro.
Diciamolo subito che Raffaello, oggi poco di moda, lo è ancor meno nelle sue ultime opere: a parte la Trasfigurazione vaticana, le decine di Sacre Famiglie, di cui lui forniva i disegni e che quindi sono lavori degli allievi Giulio Romano e del Penni, sono pesanti, imbolsite da citazioni archeologiche, insomma retoriche e già controriformistiche e barocche.
Ma sarà vero? Il dubbio è lecito, perché con i geni precoci il futuro è già presente e siamo forse noi che non lo capiamo, imprigionati dentro certi schemi mentali.
La sorpresa, dopo aver osservato a lungo la Madonna dei candelabri ora negli Usa, la Santa Cecilia di Bologna, la Madonna della perla del Prado, il san Michele del Louvre e così via, è capire che Raffaello arrivato a Roma diventa un’altra persona, diversa dal giovane purissimo delle Madonne fiorentine.
Il Sanzio si innamora del mondo classico: ma non è un fatto culturale – l’artista non era uomo di cultura -, né una moda, bensì una vera, profondissima passione.
La naturale eleganza delle forme arriva perciò ad una compostezza che trascende il tempo, il caldo del colore si fa traslucido, le espressioni da naturali sfociano nel teatrale per comunicare ai secoli i sentimenti dell’animo.
L’Andata al calvario è pietas classico-cristiana, il san Michele è il trionfo delle verità, bella e perfetta, sul male; Santa Cecilia va in estasi mentale precorrendo le meditazioni di Teresa d’Avila, sola pur fra i santi, dimentica della musica perchè questa è tutta dentro di lei.
Nelle tavole delle Madonne, la natura, quando c’è, è fatta di vedute di una Roma che oggi noi non vediamo più, ma che all’epoca era un incanto – per chi sapeva vederlo – di armonia fra antico e nuovo. Ed ogni dettaglio archeologico – colonne, rilievi – non è citazione erudita, ma frammenti di storia colti con amore.
Certo siamo di fronte ad un’arte che si è fatta raffinata, un’estetica della bellezza come perfezione formale assoluta, luce della mente e del cuore insieme.
Osservando i ritratti, da quello di Baldassar Castiglione all’Autoritratto con Giulio Romano, si nota che l’ultimo Raffaello profetizzava già un futuro dell’arte come invito all’eternità, e al contempo come espressione di sé stessi fin nel profondo: grazie al parlare delicato e muto dei personaggi, al colore soffice come le vesti, e agli occhi tesi a guardare lontano, molto lontano.
L’innamoramento della classicità aveva fatto questo, perché Raffaello di essa ha preso il senso dell’immortalità, ma, con gusto tipicamente romano, radicato nel presente, per coglierlo e proiettarlo in avanti, oltre i secoli. Un’arte matura, così tanto, da esigere in chi la osserva, un capovolgimento estetico ed interiore. Che è una gran fortuna, sempre.
L'ultimo Raffaello Madrid, Prado. Fino al 16 settembre