L’ultimo paradiso, storie del Sud

Ne L'ultimo paradiso, Riccardo Scamarcio interpreta un contadino ribelle degli anni'50. Su Netflix.

L’ultimo paradiso, dal 5 febbraio su Netflix, prodotto e interpretato da  Riccardo Scamarcio che dà corpo e volto a due fratelli, riporta sullo schermo il Meridione degli anni Cinquanta, in Puglia. Terra ricca ma vita grama di chi fa il contadino e deve  subire  i ricatti – anche sessuali, le giovani donne – dei boss paesani. E questo sistema Ciccio, sposato e con un bambino, non lo sopporta più. Come non sopporta di stare con una sola donna, tant’è vero che ha una relazione molto passionale nascosta ma non troppo  – tipica del maschio latino – con Bianca (Gaia Bermani Amaral), la figlia del boss. Amore e sangue, ovviamente, come in una Cavalleria rusticana. C’è poi il fratello gemello di Ciccio, cioè Antonio, emigrato al Nord, fidanzato con la figlia del proprietario della fabbrica, operaio umile, coscienzioso, inserito in un altro mondo, però con un velo di tristezza in volto. Antonio rimane legatissimo alla proprie radici, da tipico emigrato: è scappato dalla sua terra  ma sogna di ritornarvi, anche se per poco. Nostalgia di casa, di affetti, e di giustizia sociale (anche se queste parole suonano un tantino retoriche dette da Scamarcio-Ciccio).

Ma non si tratta solo del Meridione anni Cinquanta. Oggi il Sud-Italia è il mondo degli emarginati che sogna il Nord come il paradiso terrestre, portando  in sè il ricordo di una infanzia libera, di una ricchezza da riportare a casa, nella propria terra: amara, ma è la propria terra, “resuscitando” in qualche modo affetti scomparsi e trovando barlumi di felicità, come succederà ad Antonio.

Potrebbe esser questa la sintesi del film diretto da  Rocco Ricciardulli – che interpreta il padre di Scamarcio –, regista lucano che racconta questa storia – vera. La fotografia è poetica, intreccia vie, panorami, terre sconfinate, volti e interni (l’osteria) caravaggeschi. Credibili gli attori, anche Scamarcio, più a suo agio nei momenti scanzonati. Il risultato  è di un lavoro che vorrebbe essere più che una storia consueta di andata-e-ritorno al Sud, di faide e di amori, una parabola sull’oggi. Drammatica in fondo (il finale appare  un po’ appiccicato) e rivolta ai giovani che allora come ora non accettano le ingiustizie ataviche ma vogliono essere liberi. Riuscito? In parte perché certe scene o situazioni sono  un topos noto del genere “meridionalista”. Ma la parabola che vi sta sotto, questa funziona.

 

Mario Dal Bello

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