L’ultimo addio alla Jugoslavia
Con la piena indipendenza raggiunta dal Montenegro attraverso il referendum del 21 maggio, si è completata la frantumazione fra le Repubbliche della ex Jugoslavia. L’ultimo tassello di quel mosaico di etnie che le grandi potenze, all’indomani del Primo conflitto mondiale, avevano accorpato inventando un grande Stato balcanico che impedisse il riproporsi di una egemonia germanica sulla regione e dissuadesse qualsiasi velleità italiana in quella direzione, è saltato ben diciassette anni dopo l’inizio di questa sanguinosissima e, speriamo ultima guerra balcanica con cui quello Stato ha distrutto sé stesso. Non sarà facile mettere d’accordo gli storici sulla valutazione di questi avvenimenti. Io stesso che ho conosciuto quel Paese avendolo percorso in lungo e in largo fin dagli anni Cinquanta, e apprezzato la sua gente pur fra tante palesi contraddizioni, ho potuto seguire la sua lunga agonia sin dall’inizio, spesso raccogliendo testimonianze sul posto. Oggi non posso rileggere senza emozione i miei stessi reportage, sentendomi fortemente coinvolto e razionalmente perplesso nel giudizio, se non per concludere che la guerra è sempre e comunque un male. E che non è stato fatto abbastanza per impedirla, né per alleviare lo strazio di chi ne è rimasto vittima. Ora, anche sulla secessione montenegrina le valutazioni divergono. Certo è quanto mai positivo il fatto che l’indipendenza del piccolo Stato sia stata raggiunta pacificamente con un referendum popolare. Così pure è di buon auspicio l’interesse dimostrato dal Montenegro per confluire al più presto nell’Unione europea. Anche la Serbia del resto non ha una prospettiva diversa, e dunque i due Paesi si ritroveranno prima o poi legati fra loro, e con le altre Repubbliche della ex Jugoslavia, da nuovi vincoli: gli stessi, cioè, che legano oggi fra loro i partner dell’Unione. In questa prospettiva dovrebbero stemperarsi anche le perplessità sollevate, soprattutto in Italia, dalla propensione degli abitanti di quella costa nostra dirimpettaia, da sempre rifugio di pirati, a praticare su larga scala il contrabbando. Lo stesso attuale leader del Montenegro, strenuo propugnatore dell’indipendenza dalla Serbia, ha un contenzioso aperto a motivo di questi traffici. Peraltro il rapporto tra Montenegro e Serbia non si è alterato. Per quasi metà i montenegrini sono pur sempre serbi e tutti parlano quella lingua. Il fatto poi che lo strappo si sia svolto pacificamente senza grandi tensioni né a Podgorica né a Belgrado, lascia bene sperare anche per il futuro. Il vero problema per la Serbia è ormai rimasto il Kosovo che, molto probabilmente, seguirà la sorte del Montenegro verso una propria indipendenza, magari distaccandosi al nord da quella sottile striscia che conserva una effimera preponderanza serba. Ancora una volta, dunque, è l’Unione europea, pur con tutti i limiti che la nuova convivenza così rapidamente allargata sta proponendo, a rappresentare l’unica prospettiva per lo sviluppo pacifico del Vecchio continente, non solo economico, ma anche politico. Facciamo festa, dunque, anche a questi nostri nuovi eppure antichissimi dirimpettai con i quali abbiamo condiviso duemila anni di storia, avendo visto stratificarsi su quella costa illiri, greci, romani, veneti e finalmente slavi, dei quali tutti i montenegrini conservano orgogliosamente le tracce.