L’ultimo Abbado
È appena uscita l’ultima incisione di Claudio Abbado, registrazione live al Festival di Lucerna nel marzo 2013. Imperdibile, perché offre una sorta di testamento spirituale e musicale di uno dei massimi direttori contemporanei. Grande interprete del repertorio tardoromantico – Brahms, Mahler – e novecentesco, Abbado però ha sempre amato Mozart e non a caso è stato l’ultimo compositore ad essere eseguito insieme alla sua creatura, l’Orchestra Mozart, e ad una pianista con cui la sintonia era perfetta dalla giovinezza, cioè Marta Argerich. E fa impressione che nel cd edito dalla Deutsche Grammophon, sul retro della copertina, ci sia la foto dei due da giovani: lui chioma liscia e volto concentrato, lei capelli nerissimi, le mani sul pianoforte.
Ora, entrambi anziani – lui scavato, lei imbiancata – si sono ritrovati ad eseguire due concerti mozartiani: il n. 25 e il n. 20. Il numero 25 in Do maggiore apre con entusiasmo ma poi, nel lungo primo tempo, si insinuano nella melodia variazioni tristi che si sciolgono un poco nell’Andante e chiudono nell’Allegretto con palpitazioni nuove di un Mozart giovane, ma spiritualmente molto maturo. La leggerezza dell’orchestra è da favola, sospiri dei violini, dolcezze dei legni e il pianoforte della Argerich con un suono ora di velluto ora struggente.
Nel precedente n. 20 in Re minore, l’aria anticipa soluzioni tragiche del Don Giovanni e dolentissime del Requiem. È un Mozart che, per le intuizioni del genio, avverte in sé qualcosa che non è più classico né preromantico, ma semplicemente il dramma dell’essere uomo che egli affronta con immutata eleganza mista a lacrime e con guizzi di gioia. Così è l’Allegro, mentre poi nella Romance Mozart si stacca dalla terra – come fa sempre nei tempi lenti dei concerti – e si innalza in quella dimensione di bellezza che solo a pochi artisti è data – per scendere infine a noi con il Rondò conclusivo.
Inutile sottolineare la delicatezza degli interventi orchestrali, soffici, aerei ed energici quanto basta, la sofferenza del primo tempo e poi il fraseggio del piano di Marta, sciolto come una cascata, diteggiato in punta d’anima nella Romance e brillantemente virtuosistico nel finale.
È Mozart nel suo caleidoscopio umano ed artistico che ci viene riproposto da due artisti grandissimi, ormai così distaccati dalla gloria da essere trasfigurati nella musica. Straordinario.