L’ultima tappa di Felice Gimondi, eterno rivale del “Cannibale”
Le parole più significative per riassumere il volume della perdita, a livello sportivo, sono quelle di Eddy Merckx: il “Cannibale” fiammingo, vero e proprio asso pigliatutto del ciclismo degli anni ’70, che aveva trovato in Felice Gimondi il rivale più fiero e ostico. «Stavolta perdo io – ha detto l’ex corridore belga all’Ansa -. Perdo prima di tutto un amico e poi l’avversario di una vita. Abbiamo gareggiato per anni sulle strade l’un contro l’altro, ma siamo diventati amici a fine carriera. L’avevo sentito due settimane fa, così come capitava ogni tanto. Che dire, sono distrutto».
Spazio alle qualità umane: «Felice – ricorda ancora Merckx – è stato prima di tutto un grande uomo e un grande campione: purtroppo ce lo hanno portato via. È una grande perdita per il ciclismo. Mi vengono in mente – conclude l’ex campione – tutte le lotte che abbiamo fatto insieme. Un uomo come lui non nasce tutti i giorni, se ne va una fetta della mia vita. È stato tra i più grandi di sempre».
Gimondi, nel corso di una carriera longeva e di successo come pochi, ha infatti portato a casa tutti i trofei più importanti: tre Giri d’Italia (’67, ’69, ’76), un Tour de France (’65, unico italiano prima di Marco Pantani e Vincenzo Nibali), una Vuelta di Spagna (‘68). Nella sua personale collezione di trionfi ci sono anche una Milano-Sanremo (1974), una Parigi-Roubaix (1966) e due Giri di Lombardia (1966-1973). La ciliegina sulla torta, poi, è rappresentata dal Mondiale vinto nel 1973 a Barcellona. Risultati resi immortali dal fatto di averli acciuffati nell’era di un campionissimo come Merckx: uomo capace di aggiudicarsi, per rendere l’idea, 5 Giri d’Italia, altrettanti Tour e ben sette Milano-Sanremo. Una vera e propria macchina da guerra che ha trovato in Gimondi un rivale più che degno: il bergamasco è stato l’uomo che nella cronistoria del ciclismo azzurro ha preso il testimone dall’epoca eroica di Gino Bartali e Fausto Coppi.
Un campione gentile, stroncato nel primo pomeriggio del 16 agosto scorso da un malore improvviso nel mare siciliano di Giardini Naxos (Messina). Un innocuo bagno a due passi dalla riva si è trasformato in tragedia: Gimondi è stato subito portato a riva per i primi soccorsi ma, nonostante un tentativo di massaggio cardiaco, il suo cuore ha smesso di battere. L’amico Domenico Fichera, medico di origini catanesi che era con lui lo scorso venerdì, è stato testimone dei momenti più drammatici. «Ho notato che Felice annaspava e nuotava con fatica verso sinistra e non dritto verso le nostre sdraio. Mi sono affrettato a tornare in spiaggia e, richiamando l’attenzione del bagnino, lo abbiamo recuperato in acqua a due-tre metri di distanza dall’arenile. Era a testa in giù: non c’era già più niente da fare». La salma del campione è arrivata a Paladina, un paesino alle porte di Bergamo dove domani mattina saranno celebrati i funerali: oggi, invece, è il giorno dell’allestimento della camera ardente.
Passando dalla sfera sportiva a quella privata è significativa la lettera inviata al Corriere della Sera da Norma Gimondi, figlia del ciclista. Un saluto che riassume le grandi qualità umane di un uomo che ha scritto pagine indelebili di storia sportiva del nostro Paese. «Con le tue poche parole, ma con i tuoi tanti fatti, ci hai amato immensamente. Altrettanto abbiamo fatto noi e oggi non ci sembra vero vederti in questa camera mortuaria, nell’ospedale di Taormina. Il tuo cuore grande e forte non ha retto e ora sei qui su questo tavolo, in questa stanza gelida. Ci hai cresciuto come te: poche parole, azioni concrete. Ci hai insegnato il rispetto per l’avversario e, soprattutto, a non arrenderci mai come faremo anche noi: le tre donne di cui devi essere orgoglioso sono forti e unite. Promettimi che da lassù continuerai a guardarci, a tenerci per mano, anzi, a ruota. Ora riposa, papà: questa tappa è finita. Sei il miglior papà che si possa avere. Ti amiamo sempre, fino alla fine».