Cantone: poco apprezzata la lotta alla corruzione
«Con alcuni mesi di anticipo, ho avanzato formale richiesta di rientrare nei ruoli organici della magistratura: un atto che implica la conclusione del mio mandato di presidente» dell’Autorità nazionale anticorruzione. Raffaele Cantone ha dunque deciso di terminare in anticipo il suo mandato. «La mia è una decisione meditata e sofferta. Dal 2014 il nostro Paese ha compiuto grandi passi avanti nel campo della prevenzione della corruzione, tanto da essere divenuto un modello di riferimento all’estero». Un risultato che dovrebbe essere motivo di orgoglio per l’Italia, ma che invece spesso non è stato riconosciuto come meritava.
Eppure, solo qualche mese fa, a febbraio, affermava con decisione: «Non ho alcuna intenzione di dimettermi», pur ammettendo di «aver presentato domanda al CSM (Consiglio superiore della magistratura, ndr) per incarichi direttivi presso le Procure della Repubblica di Perugia, Torre Annunziata e Frosinone. «Se nel Paese si fa largo l’idea che per appalti e concessioni si debbano avere le “mani libere” – aveva aggiunto –, è evidente che l’anticorruzione può rappresentare un limite; se invece viene vista come uno strumento per far applicare le regole, non è assolutamente vero che sia un limite».
Cinque mesi dopo, Cantone ha cambiato idea, complice probabilmente l’approvazione dello Sblocca cantieri, che, semplificando le assegnazioni dei lavori pubblici sotto i 150 mila euro, rischia di aumentare scelte arbitrarie e fatti corruttivi, e i rapporti tesi col governo. Un contrasto evidenziato dal premier Conte ai suoi esordi, quando aveva dichiarato che bisognava «valutare bene il ruolo dell’Anac, che non va depotenziato. In questo momento però non abbiamo i risultati che ci attendevamo, e forse avevamo investito troppo».
Bordate al presidente dell’Autorità anticorruzione erano arrivate anche da altri membri del governo, tanto che Cantone, pur senza fare specifici riferimenti, nel corso della presentazione dell’indice di percezione della corruzione (CPI) 2018, pubblicato da Transparency International, aveva commentato: «Ogni tanto, leggendo il giornale, si ha l’impressione che il problema non sia la corruzione, ma l’anticorruzione», soprattutto per una serie di luoghi comuni che vengono poi smentiti dai fatti.
E così, dopo aver comunicato nei giorni scorsi le sue intenzioni al presidente della Repubblica Mattarella, al premier Conte e ad altri esponenti del governo, Cantone ha deciso di annunciare pubblicamente le sue dimissioni. «Ho trascorso metà della vita – ha scritto in una lettera aperta – indossando la toga, divenuta nel tempo una seconda pelle. Ho sempre considerato la magistratura la mia casa… Per queste ragioni ho ritenuto fin dall’inizio il mandato di presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione una parentesi, per quanto prestigiosa ed entusiasmante».
Dopo oltre cinque anni, afferma Cantone, «sento che un ciclo si è definitivamente concluso, anche per il manifestarsi di un diverso approccio culturale nei confronti dell’Anac e del suo ruolo. È una convinzione che ho maturato progressivamente e che nei mesi scorsi mi ha spinto a presentare al Consiglio superiore della magistratura la candidatura per un incarico direttivo presso tre uffici giudiziari. Nelle ultime settimane le dolorose vicende da cui il Csm è stato investito hanno tuttavia comportato una dilazione dei tempi tale da rendere non più procrastinabile una decisione».
Una crisi che, oltre ad evidenziare infiltrazioni politiche nel Csm, potrebbe spingere Cantone a un ruolo più attivo nella discussione interna alla magistratura. «Sono grato – scrive ancora il magistrato – dell’eccezionale occasione che mi è stata concessa, ma credo sia giusto rientrare in ruolo in un momento così difficile per la vita della magistratura. Assistere a quanto sta accadendo senza poter partecipare concretamente al dibattito interno mi appare una insopportabile limitazione, simile a quella di un giocatore costretto ad assistere dagli spalti a un incontro decisivo: la mia indole mi impedisce di restare uno spettatore passivo, ancorché partecipe». Per il momento, dunque, Cantone tornerà all’ufficio del massimario presso la Corte di Cassazione, dove prestava servizio prima di essere designato all’unanimità al vertice dell’Autorità anticorruzione.
«Naturalmente – scrive ancora il magistrato – la corruzione è tutt’altro che debellata, ma sarebbe ingeneroso non prendere atto dei progressi, evidenziati anche dagli innumerevoli e nient’affatto scontati riconoscimenti ricevuti in questi anni dalle organizzazioni internazionali (Commissione europea, Consiglio d’Europa, Ocse, Osce, Fondo monetario) e dal significativo miglioramento nelle classifiche di settore».
La speranza di Cantone, ma anche dei cittadini, è che venga presto effettuata la nomina del suo successore, per non disperdere i buoni risultati raggiunti in un Paese in cui – come aveva detto qualche mese fa il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, pur tra i fischi dei parlamentari – c’è «una corruzione che si vede ad occhio nudo. Si vede ogni volta in cui dopo un terremoto crolla una scuola o un ospedale e dietro quel crollo non c’è soltanto una calamità naturale, ma c’è una mazzetta» che ha portato a un «risparmio sul materiale utilizzato. Si vede ogni volta che un giovane parte e scappa» dall’Italia perché «lo ritiene un Paese corrotto, in cui la meritocrazia è stata ammazzata».
La battaglia contro la corruzione ha bisogno dell’apporto del cittadino, ci aveva detto Cantone quando, alla vigilia dell’approvazione del cosiddetto decreto Spazzacorrotti, lo avevamo incontrato nel suo ufficio, nella sede di via Minghetti a Roma. «I veri danneggiati dalla corruzione – aveva spiegato nel corso di una lunga intervista – sono spesso coloro che sono estranei ai fenomeni. Mi capita di dirlo nelle scuole ai ragazzi, che non possono essere né autori né vittime di fatti corruttivi perché si tratta di reati non alla loro portata, però spesso sono i più danneggiati dai fatti corruttivi. Perché la corruzione, che blocca il sistema, blocca il futuro dei ragazzi».