L’ultima battaglia del “Cristóbal Colón”
Col suo quasi mezzo milione di abitanti Santiago di Cuba è la seconda città più popolata ed una delle più antiche (fondata nel 1515) dell’isola antilliana, di cui è stata capitale prima di L’Avana. Malgrado i rovinosi terremoti del 1675 e 1679, conserva cospicue vestigia della colonizzazione spagnola, fra cui la cattedrale, vari palazzi amministrativi e le residenze dei governatori. Santiago è famosa come la città da cui si irradiò nel 1953 la rivoluzione cubana che, rovesciando il regime di Fulgencio Batista, portò al potere Fidel Castro. Ma anche per la sua vivacità culturale, la sua creatività (dovuta alla forte componente afroamericana della popolazione) specie per quanto riguarda la musica: è infatti ritenuta la culla di generi come il son e il bolero latino-americano.
Situata in una vasta baia, Santiago fu in passato spesso soggetta a incursioni dei pirati e filibustieri, e per questo il suo porto si dotò di formidabili fortificazioni, divenute oggi attrazioni turistiche. Spicca tra queste, grazie al suo eccellente stato di conservazione, il Castello di San Pedro de la Roca, dichiarato nel 1997 dall’Unesco patrimonio dell’umanità. Noto anche come Castillo del Morro (nome del promontorio sul quale sorge), venne progettato nel 1637 da un ingegnere italiano, Giovan Battista Antonelli. Oltre che come base militare, servì anche da carcere per i prigionieri politici. L’ultima volta in cui venne usato militarmente fu nel 1898, quando la flotta statunitense attaccò Santiago durante il breve ma sanguinoso conflitto ispano-americano che vide gli Usa sottrarre alla Spagna le ricche colonie di Cuba, di Porto Rico, dell’isola di Guam e delle Filippine: risultati ratificati dal Trattato di Parigi nel dicembre dello stesso anno.
Perché accenno a questo evento storico di sicuro poco noto in Italia? Per ricordare il ruolo epico, anche se sfortunato, che vi ebbe l’incrociatore corazzato spagnolo, ma di costruzione italiana, Cristóbal Colón: una delle più moderne navi da guerra dell’epoca. Progettato dall’ingegnere navale Edoardo Masdea, fu varato nel 1896 nei cantieri Ansaldo di Sestri Ponente e consegnato alla Spagna l’anno seguente. Lungo poco più di 100 metri, disponeva di 2 motrici alternative verticali a triplice espansione, 24 caldaie e 2 eliche; aveva lo scafo in acciaio cementato sistema Harvey, scudi per le artiglierie e una torretta. Il Cristóbal Colón era un ibrido tra l’incrociatore e la nave da battaglia: leggermente più lento del primo (aveva una velocità di 19,5 nodi), disponeva teoricamente dell’armamento della seconda: dico “teoricamente” in quanto i potenti due cannoni da 450 mm che avrebbero dovuto essere forniti dalla ditta inglese Armstrong non vennero mai montati. Colpa di chi? Dell’Inghilterra che, parteggiando per gli Stati Uniti, ebbe modo di ostacolare la tempistica di consegna.
Adatto al combattimento di squadra, anche se privo dell’armamento principale il Colón era dotato di velocità tale da poter sfuggire alla superiorità degli avversari. Purtroppo, l’aver imbarcato a Santiago carbone scadente non gli permise neppure questa chance. Nonostante questi due gravi handicap, il 3 luglio 1898 andò incontro al suo destino. Quel giorno nella baia di Santiago si scatenò tra le opposte squadre navali una furiosa battaglia, il cui esito funesto per la Spagna lo fu anche per il nostro incrociatore, tempestato dai formidabili tiri dell’incrociatore corazzato Brooklyn e delle corazzate Texas e Oregon. Per non lasciar cadere il suo vascello preda degli statunitensi, il comandante Emiliano Díaz-Moreau y Quintana fu costretto a scegliere l’autoaffondamento.
Alla fine dell’eroico incrociatore Emilio Salgari riservò un ricordo speciale nell’ultimo emozionante capitolo del romanzo La capitana del Yucatan, che ha il suo fulcro nell’episodio cubano della guerra ispano-americana: «Un urto tremendo avviene a prora. Il Cristóbal Colón, spinto dalle sue eliche, balza sulle rocce come un cetaceo immane, con un fragore assordante, con un rombo metallico spaventevole, mentre una fiamma gigantesca s’alza per trecento metri in aria. Ma no, le rocce non vincono la resistenza delle sue corazze, [… ] è a prova di scoglio. Una voce echeggia in mezzo ai vortici di fumo, che sfuggono dalle batterie e dai boccaporti e fra le urla dei feriti e dei moribondi: “Aprite le valvole e che la nave si sommerga!…”. E la nave, invasa dalle acque che irrompono attraverso le valvole aperte, cola a vista d’occhio nei flutti del mare dei Caraibi, mentre gli americani, stupiti, meravigliati, atterriti da tanto disastro, cessano il fuoco e lanciano in acqua le scialuppe per raccogliere gli ultimi superstiti della sfortunata squadra!».
Oggi lo scafo quasi intatto del Cristóbal Colón giace a 15 metri di profondità nel luogo stesso nel quale affondò, a soli 30 metri al largo della costa sud di Cuba, nei pressi di La Mula. Per i sub che amano esplorare i relitti questa drammatica testimonianza storica del conflitto ispano-americano rappresenta l’immersione più importante da farsi nell’isola.
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