L’ultima avventura di Giffà
In uno dei miei viaggi nel mondo dei sogni, sono stata tanto fortunata da incontrare la fata delle fiabe. Da vera fata, ha voluto raccontarmi una storia straordinaria. Ed io, che sono una mamma e voglio veder sorridere i bambini, la racconto a voi. Nella savana esisteva un branco di giraffe, elegantissime nel loro abito ocra spruzzato di marrone, agili sulle zampe Sottili e curiose con quel collo lungo lungo, vivevano libere e felici nel loro ambiente naturale, ignare del loro destino. Purtroppo, infatti, a volte gli uomini sono cattivi con gli animali e così un giorno alcune di quelle maestose giraffe furono catturate e spedite in varie parti del mondo a lavorare nei circhi o a farsi ammirare negli zoo. Tra loro c’era anche Giffà, una giraffina nata da poco, sempre pronta a scrutare il cielo puntando il suo lungo collo verso l’alto. Ma Giffà aveva un dono particolare: sapeva catturare le stelle! Nonostante fosse in un bellissimo zoo-safari, con un ampio recinto, un giaciglio riparato e tanto cibo a disposizione, Giffà aveva tanta nostalgia della sua savana, dei suoi amici. Così la sera puntava il suo lungo collo verso il cielo, come se fosse un cannocchiale; poi, con i suoi teneri cornini, faceva solletico ad una stella e, quando questa cadeva ai suoi piedi, vi si accoccolava vicino. In questo modo, sentiva un gran caldo al cuore, come se fosse tornata a casa sua, tra le zampe della sua mamma. Quando l’alba stava per scacciare la notte, Giffà rendeva la stella al cielo ed il suo piccolo cuore era un po’ più leggero e sereno, disposto ad affrontare la nuova giornata. La sera successiva Giffà tornava a scrutare il cielo e, ritrovata la sua stella, la faceva scivolare ai suoi piedi. Prima di addormentarsi, Giffà parlava alla stella della sua terra lontana, del fiume che scorreva lento; e l’altra gli raccontava di tutte le bellezze che si vedono dal cielo. Così Giffà non solo cresceva in collo e zampe, ma imparava un sacco di co se, come se avesse trascorso ore ed ore sui banchi di scuola. Aveva imparato anche a perdonare gli uomini che l’avevano catturata e ad amare coloro che ora si prendevano cura di lui. Sapeva leggere le previsioni del tempo osservando il movimento delle nuvole e la direzione dei venti, calcolava il susseguirsi delle stagioni in base alla posizione del sole, riconosceva i colori dell’arcobaleno e chiamava le piante col loro nome. Osservando gli altri animali, Giffà aveva scoperto come divertire i bambini che visitavano lo zoo-safari. Così, faceva dispetti ai nonni cui rubava il cappello ed alle signore offriva fiori tenendoli tra i denti. In breve tempo Giffà era diventata la mascotte dello zoo e la tristezza per aver lasciato la savana si era fatta piccola piccola, rannicchiata in un angolo del cuore. Ora le sue giornate erano quasi felici, ormai amava quello zoo e gli animali che vi abitavano. Giffà era riuscita anche a fare amicizia con un elefantino: così, nelle quiete ore del pomeriggio, si divertivano ad allungare l’uno il collo e l’altro la proboscide per vedere chi dei due vincesse in lunghezza. Trascorsero gli anni e Giffà era ormai una giraffa un po’ anzianotta che trascorreva le giornate sul suo giaciglio, allungando il collo solo per vedere intorno o per catturare la sua stella. Con la vecchiaia non faceva più scherzi ai visitatori, ma conservava una memoria incredibile per il passato. Dunque ora raccontava a tutti della savana e del fiume che 1’attraversava. In lei però, cresceva la voglia di rivedere la sua terra prima di morire. Spesso ne parlava anche alla stella. Poi Giffà si ammalò; aveva ormai i giorni contati quando la stella decise di riportarla alla sua savana. Quella notte, dunque, la stella si caricò Giffà sulle spalle ed intraprese il lungo cammino. Ma Giffà era troppo pesante e la stella, anche lei avanti con gli anni, non aveva più forze. Giunte sopra un’alta vetta, Giffà scivolò e cadde sulla montagna. Anche la stella, sfinita, la seguì. Là, nello stesso periodo dell’anno e su tutte le montagne, fioriscono ora magnifiche stelle alpine, leggermente chiazzate d’ocra nel calice. E, se guardi bene, vedrai tutto intorno anche la polvere d’argento della piccola stella.