Lula contro l’estrema destra

Una volta scarcerato, l’ex presidente annunzia una battaglia politica per sconfiggere il presidente Jair Bolsonaro. A 74 anni, il suo futuro è ancora tutto da scrivere ed anche quello della nazione brasiliana

«Sono tornato». Ha esordito così l’ex presidente del Brasile, Luiz Inácio Lula da Silva, letteralmente in braccio a migliaia di militanti ed ammiratori riuniti di fronte alla sede della sua culla politica: il sindacato dei metalmeccanici di Sâo Bernardo do Campo, comune dell’area metropolitana di Sâo Paulo. Ha pronunziato un discorso acceso e vibrante dopo 580 giorni di carcere e poche ore dopo la liberazione disposta per la sentenza del Supremo Tribunale Federale.

Un discorso diretto, scevro di politichese e di mezzi termini a lui estranei, teso a ridare energia a una sinistra frammentata e orfana di leader. È l’inizio di una nuova battaglia politica: «Se sapremo usare la testa e facciamo le cose per bene, nel 2022 la sinistra, che Bolsonaro teme tanto, sconfiggerà l’estrema destra». La folla lo ascoltava entusiasta: «Esco da qui a 74 anni con un cuore nel quale c’è solo spazio per l’amore, e l’amore vincerà in questo Paese» ha sottolineato.

Lula è stato allora dichiarato innocente? La risposta è no. Il Supremo Tribunale Federale (Stf) non si è pronunciato nel merito della causa, ma ha rivisto la sua giurisprudenza in materia di carcere preventivo. Nel 2017 aveva stabilito che era possibile applicare la pena a partire dalla sentenza di appello. Si era in pieno uragano politico e giudiziale scatenato attorno al gigantesco scandalo soprannominato “lava jato” (l’autolavaggio). Finirono così tra le sbarre decine di politici e imprenditori coinvolti nel caso, nei confronti dei quali si applicarono pene severe. Due le condanne applicate a Lula. La prima ridotta a otto anni in fase d’appello, per un appartamento che avrebbe ricevuto in cambio di favori. La seconda, ad altri 12 anni, è ancora in prima istanza.

Lula ha sempre negato di essere colpevole, e nel caso dell’appartamento ha sostenuto che oltre a non essergli stato intestato, non l’ha mai usato… La sua tesi è che il pubblico ministero e i giudici si sono valsi di indizi e non di prove. Per questa prima condanna, confermata in appello, era finito in carcere ed era in attesa di un ultimo ricorso proprio davanti al Supremo Tribunale Federale (in Brasile, dopo l’appello esistono ancora due istanze di revisione del processo, equivalenti al nostro ricorso in Cassazione). La settimana scorsa, sei degli undici giudici del Stf ne hanno ribaltato la giurisprudenza, stabilendo che quando non si sia in presenza di un condannato socialmente pericoloso, di delitto grave o della possibilità di inquinare le prove, la condanna dovrà eseguirsi solo dopo la conclusione di tutte le istanze processuali.

L’intenzione dell’ex presidente è ora quella di girare per il Brasile e ricostruire la base del suo partito (Pt) sconvolta dallo scandalo e dall’irruenza della protesta contro la corruzione che ha portato alla presidenza Jair Bolsonaro. Lula dovrà farà appello a tutto il suo carisma politico. Su questo piano siamo agli antipodi rispetto a Bolsonaro, che è a favore dell’uso delle armi per la questione della sicurezza, propenso al razzismo, sprezzante nei confronti di indigeni, omosessuali e neri, favorevole allo sfruttamento della selva amazzonica, dove la mattanza di leader della società civile continua anche grazie alla sua linea politica.

A Rio de Janeiro, i morti si contano a decine dopo l’ok alla politica dal grilletto facile, anche con vittime innocenti. Tra queste, l’attivista sociale Marielle Franco, assassinata da sicari che, stando alla denuncia del giornale O Globo, prima di commettere il crimine sarebbero passati dall’appartamento dell’attuale presidente. Uno scandalo che ha peggiorato la relazione con la stampa di un Bolsonaro la cui immagine è in forte ribasso.

Pare così difficile che non si accentui la polarizzazione in un Brasile che non ha risolto i suoi problemi di fondo e corre il rischio di concentrarsi sulla contrapposizione politica, ma senza che i nodi del Paese arrivino al pettine.

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