Luisito Suárez, il giocatore perfetto

Il mondo del calcio deve dire addio al giocatore della “Grande Inter”, che si è spento a 88 anni.
Luis Suarez (AP Photo/Luca Bruno, File)

Un campo per un pallone d’oro

In Italia si ricorda con orgoglio Luis Suárez, il giocatore con la G maiuscola, lo spagnolo e architetto della “Grande Inter” (non l’uruguaiano del morso a Chiellini o passato alle cronache per un esame linguistico farlocco). Si ricorda quel Suárez che ha portato l’Inter a diventare Grande Inter, quello che non sbagliava mai, quello “perfetto”.

Un Suárez molto gracile, a dispetto del padre macellaio ma con i muscoli nascosti, un Suárez che, prima di arrivare all’Inter era già Suárez e che è valso uno stadio.

Luis Suárez Miramontes, detto Luisito, nasce a La Coruña il 2 maggio 1935. Dopo aver esordito tra i professionisti nel 1953 col Deportivo, l’anno dopo passa al Barcellona. Qui, sotto la guida di Helenio Herrera, vince due campionati, Coppa nazionale e Coppa delle Fiere e conquista anche – l’unico spagnolo a vincerlo fino ad ora – il Pallone d’oro nel 1960.

L’anno dopo, nell’estate 1961, sarebbe arrivato a Milano, nell’Inter della quale sarebbe diventato “architetto”. Ma anche prima di arrivare nel Belpaese, era già qualcuno, che all’Inter di Angelo Moratti sarebbe costato quanto uno stadio, e non uno qualsiasi, ma il Camp Nou.

«Suarez ha la velocità di Bicicli, il palleggio di Corso, la forza di Lindskog, il dribbling di Sivori e il tiro di Altafini. Senza essere nessuno di loro. Dobbiamo prenderlo». Queste erano state le parole di Helenio Herrera, soprannominato poi “il mago”, che, arrivato all’Inter, aveva subito voluto con sé la stella del Barça, costi quel che costi. E i costi per l’allora 26enne spagnolo sarebbero stati molto elevati: una cifra da record, quasi 300 milioni di lire grazie alle quali il Barcellona poté finire di costruire un Camp Nou che aspettava di essere terminato dal 1954.

Un ingaggio esagerato, che il petroliere Angelo Moratti quasi si pentì di aver fatto dopo la prima partita dello spagnolo, quando gli era sembrato solo un centrocampista affaticato e aveva quasi pensato di cacciare Helenio Herrera per avergli fatto buttare tutti quei soldi. Herrera però non si sbagliava, e non si sbagliavano neanche i tifosi del Barcellona che avevano protestato per evitare che la loro stella fosse venduta e che avrebbero preferito continuare a vedere la loro squadra vincere in uno stadio incompleto piuttosto che perdere per decenni in uno finito.

Solo Angelo Moratti si sbagliava, ma ben presto l’amore scocca anche per il presidente perché, anche se il Barça si era costruito il Camp Nou, l’Inter si era guadagnata un meritatissimo pallone d’oro che l’avrebbe fatta diventare grande.

I successi, fuori e dentro il campo

«Se non sapete cosa fare, date palla a Suárez»: così l’Inter conclude il suo tweet con il quale ha annunciato la morte dell’ex neroazzurro e lo ricorda nei suoi anni d’oro nella mattinata del 9 luglio. E così tutti quelli che hanno avuto la fortuna di vederlo giocare se lo ricordano in quei magici anni 60, quando Suárez sapeva sempre cosa fare con la palla: a chi, come e quando passarla per permettergli di centrare la porta avversaria.

Se Luisito era già una stella a casa sua, infatti, sarà proprio negli anni in cui giocherà all’Inter che diventerà leggenda. 333 partite, 55 reti, tre scudetti (nel (1962-1963, 1964-1965 e 1965-1966), due Coppe dei Campioni (1963-1964 e 1964-1965) e due Coppe Intercontinentali (1964 e 1965). Questi i numeri dello spagnolo nei 9 anni passati con l’Inter, numeri che non rendono, però, il vero valore dal regista, dell’architetto neroazzurro di quegli anni, dell’eleganza e della precisione dei suoi lanci ai compagni di squadra Jair da Costa e Sandro Mazzola. Questi gli anni d’oro di Suárez e dell’Inter.

Ma dopo il 1970, anche se lascerà momentaneamente l’Inter per il suo ultimo triennio da calciatore con la Sampdoria e il suo primo anno da allenatore con il settore giovanile del Genoa, tornerà in quell’Inter che lo ha reso grande e che ha reso grande e lo farà da allenatore nella stagione 1974-1975. Ma, come spesso accade ai migliori giocatori, Suárez era più bravo a fare che a dire e l’Inter chiuderà, quindi, quella stagione solo al nono posto.

Certo, i successi arriveranno anche dalla panchina, in casa sua. Era lui al timone dell’Under 21 spagnola quando questa si era aggiudicata, nel 1986, il campionato europei vincendo ai rigori contro l’Italia. Ma anche questa ed altre vittorie non saranno nulla rispetto ai successi ottenuti in campo. Successo che riscuoterà, fuori dal campo, solo come commentatore con i suoi commenti sempre intelligenti, educati, ironici e piacevoli. Riposa in pace, Luisito.

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