Luisa Miller
Poco nota, tratta da Schiller, l’opera verdiana, anno 1850, si situa tra la produzione giovanile – ma c’è già stato il primo Macbeth – e Rigoletto Trovatore Traviata: la trilogia dell’individuo in lotta col destino. Verdi qui punta ad un demone cupo, Wurm, che contrasta l’amore bello tra Rodolfo e Luisa. Niente impeti religioso-risorgimentali, ma una storia introversa e interfamiliare di sentimenti profondi e inesorabili, come il finale drammatico. Il grande accusato – un topos verdiano – è l’insensibilità dei padri.
Vertice il terzo atto finale, di dolorosa psicologia, di amore tradito, con la morte come unica strada di felicità. La musica: misteriosa, maligna anche come in Weber, nostalgica.
Dirige con fuoco e fiamme Gianandrea Noseda il secondo cast: spiccano il Wurm tenebroso di Marco Spotti, il Miller passionale di Vitaly Bilyy, il Rodolfo di grazia di Piero Pretti.
Mario Martone, regista, filma un gotico scabro tra le scene – una foresta un letto un’aula – di Sergio Tramonti. Il Verdi quasi dark di quest’opera ne esce espressivo e sorprendente. Come la stupenda sinfonia iniziale, basata su un solo, agitato e sospeso, tema. Un Verdi diverso, in un pre-capolavoro.