Luigi Sartori, la fede lievito della storia

Ricordo le parole di Luigi Pareyson: «Vi sono pensatori che a tutta prima appaiono di rilievo e hanno audience e successo, ma ben presto finiscono nel dimenticatoio. Ve ne sono altri, invece, forse meno rinominati, che in realtà più passa il tempo più rivelano lo spessore e le virtualità del loro pensiero». Luigi Sartori, di cui ricorrono i 10 anni dalla morte, appartiene a questa seconda schiera

Ricordo le parole di Luigi Pareyson durante gli studi di filosofia a Torino: «Vi sono pensatori che a tutta prima appaiono di rilievo e hanno audience e successo, ma ben presto finiscono nel dimenticatoio. Ve ne sono altri, invece, forse meno rinominati, che in realtà più passa il tempo più rivelano lo spessore e le virtualità del loro pensiero». Luigi Sartori, di cui ricorrono i 10 anni dalla morte, appartiene a questa seconda schiera. Non che in vita il suo modo personalissimo di fare teologia non abbia suscitato eco e prodotto frutti, tutt’altro: la storia della teologia dal Vaticano II ad oggi, in Italia, non è pensabile senza il suo apporto. Ma il rimprovero, peraltro cordiale e amichevole, che gli è stato spesso rivolto, di una certa frammentarietà e persino dispersione della proposta da lui offerta hanno potuto far pensare che la sua teologia fosse un episodio senz’altro apprezzabile ma tutto sommato destinato ben presto a non lasciar traccia di sé.

E invece non è così. Più il tempo passa, più il buon vino invecchia e più se ne apprezza la qualità. La teologia di Sartori, fuor di metafora, non solo si mostra sostanziosa e profetica per il peculiare momento storico in cui è stata prodotta, ma pregna di eredità preziose che in più di un caso urgono a una pertinente esplicitazione per l’oggi e per il domani. Tanto più se si pensa al soffio riformatore che anima il magistero di papa Francesco.

Il recente saggio, bello e impegnato, di Antonio Ricupero dedicato alla teologia di Sartori, La fede lievito della storia (Edizioni Messaggero Padova), attesta e documenta a tutto tondo questo giudizio. Nel pensiero del teologo padovano brilla infatti un’idea guida: quella della sinergia libera, creativa, aperta, ricapitolante in unità, tra il venire di Dio all’uomo e l’andare dell’uomo verso di sé in Dio. Trinitariamente.

Sartori, in particolare, sottolinea che la fede nella Trinità è legata a due esperienze: quella di Gesù e quella dello Spirito, quella di Pasqua e quella di Pentecoste. «La prima – spiega – è un’esperienza escatologica, di esodo, di uscita dal mondo e dalla storia, per tornare con Cristo al Padre»; mentre «la seconda reimmette nella storia».

L’entrare nella sfera d’esistenza del Padre, figli nel Figlio e perciò fratelli, se è transito, in Gesù, da questo mondo al Padre – e cioè esperienza rivoluzionaria di Dio come Abbà – lo è in quanto accade risorgendo dalle profondità più crude e conflittuali dell’esistenza, dalle quali per la fede si è strappati via nel Cristo Crocifisso, Lui il “rigettato” e il “maledetto”, che si fa “non figlio” per farci in Lui figli dell’Abbà.

È questo il significato escatologico della pasqua di Gesù: sperimentare e vivere “in Cristo” come cittadini dell’al-di-là, da figli e da fratelli. Ma dove? Nell’al-di-qua: nel mondo, senza esser più del mondo; nel Padre, essendo tra i fratelli – là dove il Cristo rigettato e maledetto s’è sino in fondo calato.

È proprio di qui che scaturisce l’altra esperienza forte della fede cristiana, quella della Pentecoste, che reimmette nella storia: «Nello Spirito – scrive Sartori – facciamo già ora l’esperienza del cielo. Ci sentiamo nuova creatura; forze nuove, divine, ci rigenerano; dal nostro cuore sale un grido: Abbà, Padre! (Rm 8,15); il nostro spirito si dilata ad una libertà e ad una apertura infinita; ci sembra di poter pensare con la stessa verità e certezza di Dio, ci sembra di poter amare col cuore stesso di Dio. La comunione con gli altri, con i fratelli, non circoscrive limitazioni, non discrimina razze, religioni, classi sociali, stadi di fede o di incredulità».

Teologia come pensare dall’alto? Da rapiti in cielo? – si chiede Sartori –. Sì, risponde, «ma a partire dal basso, dalla terra, anzi da dentro il fango del mondo umano, da sottozero». Teologia che desidera diventare preghiera di confidenza smisurata nell’Abbà e che al tempo stesso emerge dalla vita e viene offerta come testimonianza di amore, insieme, nel crudo della storia.

 

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