Luigi Riva, il funerale del “Quinto moro”

30 mila persone si sono riunite attorno alla Basilica di Bonaria per l'addio al calciatore
Il feretro di Gigi Riva durante i funerali nella Basilica di Bonaria, Cagliari, 24 gennaio 2024. Foto: ANSA/FABIO MURRU

Per capire chi è stato Luigi Riva, per tutti “Giggi”, rigorosamente con la doppia G, bastava avvicinarsi allo stadio di Cagliari martedì e alla Basilica di Bonaria mercoledì pomeriggio: un fiume ininterrotto di uomini, donne, bambini, giovani e anziani che, in rigoroso silenzio, hanno salutato il “Quinto moro”, come alcuni hanno definito il grande campione di calcio, di umanità e di sportività.

Qualche decina di migliaia di persone nel sagrato della Basilica di Bonaria a Cagliari per l’ultimo saluto a Gigi Riva, 24 gennaio 2024. Foto: ANSA/FABIO MURRU

Riva, lombardo di nascita, ma sardo a tutti gli effetti, era arrivato controvoglia a Cagliari a 19 anni nel 1963. Nel giro di pochi anni era però riuscito ad entrare nel cuore e nell’animo dei sardi che, come diceva, erano simili a lui: silenziosi, discreti, poco inclini alle ribalte, amanti delle cose semplici e genuine.

Ai party glamour, di cui oggi si nutrono i ragazzini che calpestano i prati a suon di tanto denaro, Riva preferiva un pezzo di salsiccia e formaggio, un po’ di maialino arrosto e un bicchiere di vino rosso. Fabio Pioli, ex giocatore rossoblù, racconta che un giorno fece vedere a Riva l’auto sportiva appena acquistata, una scelta bollata da Gigi come inopportuna: in poche ore l’auto venne restituita al concessionario per averne una meno appariscente.

“Giggi” stava ai sardi come questi stavano al campione. Negli anni di carriera calcistica ha rifiutato le sirene dei grandi club preferendo la cosiddetta “provincia”, che garantiva una vita più serena e ritmi a misura d’uomo, nella quale Riva era «uno di noi», il compagno di squadra che tutti avrebbero voluto avere, l’amico con il quale condividere gioie e speranze.

Valori e visioni che il campione rossoblù ha portato anche all’interno della Nazionale azzurra, dove ha incontrato, sostenuto e consigliato i più grandi giocatori italiani degli ultimi 30 anni. Chi non ricorda l’abbraccio agli azzurri nelle loro debacle o l’esultanza per il mondiale vinto nel 2006, la vicinanza e l’incoraggiamento a tanti atleti, non ultimo Nicolò Barella, giocatore nato tra le file del Cagliari e approdato in Nazionale?

Gigi Riva premiato dal presidente del Coni Giovanni Malagò con il Collare d’Oro al merito sportivo al Sant’Elia prima della partita di Serie A Cagliari-Juventus. Cagliari, 12 febbraio 2017. Foto: ANSA/ FABIO MURRU

In un mondo dove si fatica a coltivare i valori, Riva è emerso per la sua signorile distanza dal degrado. Anche di fronte ai fischi di Riad in Arabia Saudita, nell’intervallo della Super Coppa, alla notizia della sua morte: se fosse stato presente avrebbe tirato avanti senza tanti piagnistei, perché una pagina così oscena del calcio «tutto chiacchiere e finanze» non merita la considerazione dei grandi.

Riva mancherà certamente a molti, che si sentiranno orfani di un uomo dallo stile forse antico ma unico. Per questo era così amato dai sardi: il tributo di mercoledì pomeriggio nella Basilica di Bonaria è stata la testimonianza più autentica di come sia stato amato e continuerà ad essere amato. L’arcivescovo di Cagliari, Giuseppe Baturi, che ha presieduto le esequie nell’omelia ha fatto memoria della sua attività calcistica. «Molte sono le immagini di questi giorni – ha detto Baturi – la maggior parte delle quali fissano l’eleganza della corsa, la bellezza e la potenza del gesto. E poi, dopo la rovesciata di Vicenza o il sinistro di Città del Messico, quella esultanza spontanea, come tutti noi da bambini, a braccia alzate, guardando il cielo e correndo incontro all’abbraccio dei compagni. Corri di nuovo, caro Gigi, e tendi ancora quelle tue lunghe braccia al cielo, corri e guarda in alto».

Un passaggio particolarmente apprezzato dai 30mila assiepati intorno alla Basilica mariana.

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